martedì 14 ottobre 2008

Il premio Nobel per l'economia a Paul Krugman

All’economista americano Paul Krugman è stato assegnato il Premio Nobel per l’economia per la sua “analisi dei modelli commerciali e l’allocazione dell’attività economica”. Al di là del contenuto teorico ed accademico dei suoi studi, ritengo sia importante sottolineare l’impegno del prof. Krugman contro l’ineguaglianza e la corruzione, come fattori critici di ostacolo alla realizzazione di uno sviluppo reale e alla costruzione di una società decente. L’assegnazione di questo premio cade in un in momento particolare di crisi dell’economia fittizia che ha invece prosperato grazie all’ineguaglianza e alla corruzione. Si aprono insomma degli spazi critici di riflessione sulle capacità auto-regolanti del mercato e sul ruolo delle misure di politica economica e sociale dirette al controllo e gestione del comportamento dei vari attori coinvolti. Dobbiamo pertanto mantenere un atteggiamento critico nei confronti di quei teorici e quei politici che vedono la soluzione automatica delle “perturbazioni” nelle sole forze del libero mercato. Non sarà mai sufficiente ripetere che questa è una pura “astrazione”, valida forse nei libri di testo, poiché esprime un concetto valido solamente in un contesto teorico ove tutte le condizioni per un equilibrio stabile vengono soddisfatte. La realtà invece ci insegna (e l’ultima crisi finanziaria lo dimostra chiaramente) che gli attori del sistema non sempre (e non completamente) “cooperano” e la distribuzione delle informazioni fra gli agenti coinvolti può essere squilibrata (c’è chi sa e chi sa poco e male). L’idea di una dimensione di mercato “stabile” ed efficiente fondato sul rapporto domanda/offerta e su operatori economici deve essere quindi integrata con un’idea di contesto istituzionale, legale, culturale e sociale il quale deve essere altrettanto stabile ed efficiente.

Se non si costruisce e si difende nel tempo un parallelo contesto istituzionale, legale e sociale (amministratori onesti e competenti, scuola e sanità efficiente, ecc…) il tessuto economico da solo non sarà mai in grado di gestire efficientemente (e risolvere) i problemi che la realtà economica solleva continuamente. Poiché in Italia non disponiamo di un siffatto contesto istituzionale, per la marcata incidenza della corruzione politica, ed anzi si sta facendo di tutto per erodere i fondamenti su cui si fonda una società decente (giustizia, scuola, sanità), la costruzione di meccanismi regolativi è legata ad una maggiore partecipazione attiva e volontaria della maggioranza della popolazione nei vari livelli della vita politica. Solo in questo modo lo sviluppo economico può diventare la sintesi dell’interazione fra giustizia economica, giustizia politica e democrazia politica.

2 commenti:

mauro zambon ha detto...

Modestamente, io che non ne capisco più di tanto di economia, condivido in pieno quando dici che la teoria del libero mercato che si autoregola è pura astrazione (oltre ad essere una grande presa in giro per i più...). Mi sembra ancora di vederli, i grafichetti con la curva della domanda e quella dell'offerta che si incrociano: lo sforzo di voler dare una veste pseudoscientifica alle dinamiche che regolano gli scambi tra le persone. Scambi sempre esistiti, da che è mondo, ma mai inseriti nel contesto che la teoria microeconomica considera come imprescindibile: quello dell'equilibrio di mercato, caratterizzato da beni scarsi e concorrenza perfetta. Appunto, concorrenza perfetta, ottenibile solo in presenza di un gran numero di venditori e di compratori, di un'omogeneità dei prodotti, di una libera circolazione delle merci, della trasparenza, ossia della perfetta conoscenza del mercato da parte di tutti i soggetti che ne prendono parte, dell’assenza di costi di transazione. E’ chiaro che tutte assieme le condizioni suddette sono impossibili da riscontrare nella realtà (essendo il mercato non in concorrenza perfetta). Il mercato di concorrenza perfetta rimane quindi solo un concetto teorico di microeconomia utilizzato per schematizzare le dinamiche della domanda e dell’offerta attraverso la costruzione di modelli.
Nella realtà credo invece che, piuttosto che intestardirsi e ripetere tutte queste balle microeconomiche, servano politiche mirate a prevenire e mitigare i danni sociali che il cosiddetto libero mercato ci ha dimostrato di produrre ciclicamente. Solo con l'etica in politica questi ultimi propositi si possono realizzare.
Chissà cosa ci attenderà a seguito della crisi in atto: un rinsavimento economico e politico globale, oppure l'ennesima riedizione di quanto già visto?
Vedremo...

Carmelo Cannarella ha detto...

Premetto che non sono affatto contrario al mercato, anzi credo che detenga delle dinamiche rilevanti ai fini di una allocazione efficiente delle risorse. Detto questo voglio sottolinerare in primo luogo che la truffa resta "truffa" e che il mercato sia qualcosa di diverso. Spacciare la truffa sistematica per libero mercato è, per l'appunto, una truffa. In secondo luogo, mi sembra che l'economia e la relativa teoria economica abbiano perso per strada il senso della realtà con le conseguenze spaventose che vediamo: non solo la crisi finanziaria attuale, ma anche i fallimentari interventi del FMI che spesso hanno portato alla fame milioni di persone. Credo che l'economia non possa essere lasciata in mano a figure perverse come il "manager": se la memoria non mi inganna il termine "economia" è stato inventato da Aristotele per indicare il modo per la corretta gestione di una casa. Se ampliamo il concetto di "casa" allora mi viene da pensare che se la "gestione" è svincolata dalla "casa" allora non si capisce più di cosa stiamo parlando. Se non si rapporta l'economia ad un determinato contesto allora finiamo per drogarci con l'econometria ovvero con un mare di grafici, funzioni matematiche e tabelle in cui le persone sono solo dei numeri. Quando i manager parlano di esuberi, recessione, efficienza, flessibilità dietro c'è la vita delle persone e delle loro famiglie che viene messa in gioco (la "casa"). La cosa che quindi detesto dei manager e di certi economisti è che mettono sempre in gioco la vita degli altri (sottoforma di gelidi numeri per non avere sensi di colpa - vedi la "Banalità del Male" di H. Arendt) senza mai rischiare in prima persona. Alla fine tra i manager di Wall Street ed Eichmann non è che ci sia tanta differenza...