martedì 21 luglio 2015

Degrado

Questa foto, che ho scattato neanche tanto tempo fa, la considero la migliore immagine per illustrare l'immagine di benvenuto per chi, straniero o italiano, arriva in Italia.

In Italia il degrado è uno stile di vita, una modalità di governo, una filosofia. Il degrado consente di sfiancare la società, umiliarla senza l'uso della forza, convincerla che l'indecenza in cui vive alla fin fine è una cosa del tutto normale. Il degrado pervasivo consente di realizzare una dittatura morbida che si sostiene sullo sfinimento sociale, sulla rassegnazione, sulla stanchezza.
 
Il degrado è un fenomeno verticale ed orizzontale. E' orizzontale perchè progressivamente intacca e contagia tutto in modo lineare. E questo sia in senso spaziale (nessuna regione del paese può esserne immune a meno di non erigere "Muraglie Cinesi" anche fra regione e regione, fra provincia e provincia, fra comuni, fra paesini), sia in senso sociale: nessuna sfera della convivenza civile può essere immune dal degrado (politica, economia, la Chiesa Cattolica, sport, ecc...) Questo avviene perchè il degrado è appunto anche verticale: esso penetra dentro la coscienza, nello spirito, nel cervello di tutti.

Questo significa che quando vediamo un territorio degradato, un paesaggio sventrato, una città o un quartiere abbandonato a sè stesso, a questo inevitabilmente corrisponde (in un perverso rapporto di causa-effetto) una società altrettanto degradata, sventrata, abbandonata a sè stessa.

E' sempre bene sottolineare che tutto questo non avviene a causa di una sciagura che ci casca in testa dal cielo: non è una punizione divina. Siamo noi stessi artefici, vittime e carnefici di tutto questo. Il degrado ci viene imposto perchè noi, primariamente, permettiamo non solo che ci venga imposto, ma lo assumiamo come un dato di fatto, come l'inevitabile, come "normale". Eppure non c'è nulla di normale in questo. L'assuefazione che caratterizza la società italiana nel suo complesso è figlia dell'apatia: deriva dal fatto che ci è stato insegnato (forse da secoli) che contro tutto questo non si può fare nulla. 

In effetti l'unico espediente che ha consentito ai nostri antenati di sopportare l'immane catastrofe e la violenza inimmaginabile della caduta dell'Impero Romano d'Occidente (e l'imposizione con la forza di una filosofia e religione completamente contrarie alle nostre tradizioni) è stata la capacità di non vedere più niente, di non sentire più niente, diventare insensibili a tutto: vivere come "morti". Questo atteggiamento, che ha permesso ai nostri antenati di sopravvivere, si è talmente impresso nel nostro DNA, che ci consente ancor oggi di tollerare tutto, sopportare tutto. Ci chiudiamo nelle nostre case e non vogliamo sapere nulla di quello che accade fuori. 

Ed in Italia questo comportamento inerte ed apatico lo si apprende dalla nascita e lo si raffina nella scuola. Se ci si sveglia da questo torpore, inevitabilmente si fa la figura del Don Chisciotte del momento: le persone oneste, leali, corrette, sono sempre poche ed isolate come lo scemo del villaggio.

Tanto per finire in bellezza suggerisco la lettura di questo interessante scritto di Roberto Saviano. Questo è il link dell'Espresso.

lunedì 6 luglio 2015

Vittime della Complessità

Più passa il tempo, più mi rendo conto che i problemi che abbiamo di fronte sono connotati da un tasso di complessità ben superiore alle capacità dei decisori politici di identificarli, affrontarli e, sperabilmente, risolverli. E questo accade in tutte le dimensioni problematiche: immigrazione, terrorismo, crisi economiche, integrazione europea, lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione, la deriva della scuola e della sanità, la violenza contro le donne, ecc...

Attenzione: la mia non è saccenza di quello che pensa di avere la risposta a tutto, mentre gli altri non capiscono nulla. La mia è una semplice constatazione. Vedo questa incapacità sia nella gestione delle piccole cose che nella gestione delle grandi questioni politiche, economiche e sociali a livello nazionale ed internazionale. Non siamo più capaci di fare niente, non siamo più in grado di decidere correttamente.

La complessità ci sta travolgendo su tutti i fronti, anche nelle schiocchezze della quotidianità. Sembra di essere finiti in un meccanismo vorticoso e perverso per cui i problemi, le cose, le tecnologie, i rapporti personali, insomma tutto sembra complicarsi sempre di più con il passare del tempo. Ed un problema appare complicato non per sua natura intrinseca, ma per la semplice incapacità o impossibilità (o talora non-volontà) in chi lo deve affrontare di riconoscerlo e di risolverlo. Non sappiamo come fare perchè non abbiamo i mezzi materiali e cognitivi per affrontare la realtà. In Italia poi non siamo nemmeno capaci di prepararci prima, non abbiamo la capacità di prevedere in anticipo l'insorgere dei problemi: siamo "puntalmente impreparati"...

Se vogliamo immaginare un futuro migliore sarà necessario munirsi di questi mezzi: la cultura, il sapere, la conoscenza alla fine non serviranno tanto per portare un uomo o una donna su Plutone (a fare cosa poi?) ma per tornare ad avere quei saperi necessari a vivere nella quotidianità. E da questi saperi che scaturisce poi un minimo di buon senso. 

La carenza di questo sapere è forse la causa della terribile sequenze di errori che puntalmente vengono compiuti nella gestione delle situazioni problematiche: dalla catastrofe della costruzione europea, al dramma dell'immigrazione, dal baratro della Grecia, alla deriva delle relazioni umane e sociali...