giovedì 23 ottobre 2008

Scuola, università, ricerca sotto assedio...

In questi ultimi giorni la scuola, le università e l'intero sistema della ricerca scientifica nazionale sono in uno stato di generale agitazione a seguito della riduzione sostanziale delle risorse finanziarie che il governo intende destinare a questo settore critico della nostra società e per i notevoli tagli nella dotazione delle relative risorse umane che, come al solito, investono un numero impressionante di precari. Sembra quasi che il salvataggio del sistema finanziario debba essere pagato da questi settori.

Ho avuto già modo di scrivere tempo fa su questa questione (cfr il post "Salviamo la ricerca scientifica italiana") e devo dire che non avevo intenzione di scrivere di nuovo su questo argomento. Ieri però ho visto in TV alcuni brani della conferenza stampa del premier e devo dire che sono rimasto molto perplesso ed impressionato. I toni minacciosi rivolti agli studenti ed al personale della scuola e della ricerca, nonchè ai giornalisti presenti, mi hanno dato veramente fastidio fondamentalmente per l'inutilità di un simile atteggiamento che non contribuisce di certo a smorzare i toni. Invece di ricercare un dialogo ed aprire una discussione per capire finalmente le ragioni di tanto sedimentato malessere, si opta per istruzioni precise da dare al ministro dell'interno (come se fosse un suo dipendente...) per mettere tutto a tacere e riportare l'ordine e la legalità: da che pulpito viene la predica! Ci si ricorda dello Stato a proprio piacimento, quando ci si fa beffe in ogni occasione della legge e della stessa costituzione. Difficile francamente accettare lezioni di diritto da certi personaggi... La minaccia poi di dover sopportare questo stato di cose per almeno altri quattro anni e mezzo aveva proprio dell'angosciante.

Mi viene poi da pensare al diverso stile che recentemente il premier aveva usato presenziando al consesso di Confindustria dove invece erano stati usati toni di complicità e strizzatine continue di occhi: "se non ci fossimo noi che ci alziamo presto e che sappiamo per davvero che vuole dire lavorare!". Se si mettono in relazione le due cose si comprende bene come questo governo stia cercando in tutti i modi di accontentare la propria base elettorale di riferimento che non è sicuramente costituita dal precariato della scuola. In secondo luogo a questi signori fondamentalmente non va giù che ci sia qualcuno che non accetta e tollera passivamente il modello che si sta cercando di imporre: non tanto quello fra "dittatore" e "suddito" quanto fra "direttore generale" e "dipendente". Purtoppo per loro la scuola e l'università continueranno a sfornare, nei limiti delle loro ormai scarse possibilità, pensiero "indipendente", come del resto dimostrano le contestazioni di questi giorni...

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