martedì 9 ottobre 2018

Teoria e prassi del degrado

Tempo fa avevo intrapreso una piccola ricerca per articolare le dinamiche alla base dell'inefficienza strutturale del sistema Italia a tutti i livelli proponendo la descrizione di un fenomeno che avevo definito "squallorismo". Con questo termine intendevo sottolineare come lo squallore possa diventare effettivamente un fattore strutturale capace di insinuarsi in ogni aspetto della vita economica, politica, sociale e culturale di questo sfortunato Paese fino a divenire una forma di governo.

Oggi mi sento di riproporre questo concetto anche a causa della sua triste attualità: ogni giorno mi trovo ad avere a che fare con un'umanità che sostanzialmente ha fatto dello squallore un vero e proprio stile di vita. E questo stile di vita tale umanità ha la capacità perversa di evidenziarlo e mostrarlo senza vergogna ogni momento della sua esistenza. La cosa forse più drammatica è che tale filosofia di vita, che va ben oltre la semplice ignoranza, si è insinuata nella politica e nella gestione della cosa pubblica ad ogni livello e grado. Da una parte insomma c'è chi cerca di cavalcare lo squallorismo per meri fini politici e di potere, dall'altro questa stessa umanità squallida finisce con l'insinuarsi in tutti i gangli della vita pubblica. Il conseguente degrado è quindi un processo circolare che si autoalimenta giorno dopo giorno.

Il degrado in cui viviamo è quindi un processo dinamico. Pensare quindi di rispondere con un briciolo di cultura (che oggi è diventata simbolo di snobbismo elitario e in quanto tale detestata dai più), con l'indignazione (che è del tutto inefficace) o con proclami e sottoscrizioni è del tutto vano fintanto che non si interviene su quei tre fattori principali che alimentano costantemente questo meccanismo avendo il coraggio di opporsi a tutte quelle forze (politiche e non) che non fanno altro che stimolare la vigliaccheria, la paura e il conseguimento del solo interesse personale.


martedì 25 settembre 2018

Le catastrofi silenziose

Ci sono alcuni eventi della storia che accadono all'improvviso, anche se magari preceduti da una serie di situazioni di crisi più o meno latente: sono eventi che di solito implicano forti choc nell'opinione pubblica che, proprio per questa condizione di crisi improvvisa, solitamente tende a reagire, a manifestare e a opporsi dove necessario. E' il caso ad esempio delle grandi crisi e rivoluzioni del '900 o lo stesso 68. Ci sono segnali nell'aria di qualcosa che sta per esplodere: e infatti prima o poi la situazione esplode.

Ci sono poi delle catastrofi che si sviluppano piano, con una lentezza quasi impercettibile: la loro lentezza nel progredire fa sì che non si riesca nemmeno a percepire ciò che sta accadendo o la china che si è imboccata. Questo lento logorìo fa sì che nonostante ci siano i germi di una catastrofe incipiente e fondamentalmente evidente, tutto appare ancora come normale a causa di una forma di assuefazione ed anestesia sociale. Queste sono le catastrofi più pericolose.

E' quello che sta accadendo in questi ultimi decenni. L'intera umanità ha imboccato una strada senza uscita verso un baratro immane sotto il profilo ambientale, energetico, sociale, politico, economico e finanziario, ma tutto questo avviene, nonostante le notizie che quotidianamente ci arrivano sul cambiamento climatico, sulle migrazioni dovute alla miseria, all'esaurimento progressivo delle fonti energetiche convenzionali, all'erosione dell'etica pubblica e delle istituzioni, in un modo lentissimo e appena percettibile ai più. 

L'assuefazione rende questi segnali di catastrofe silenti e l'opinione pubblica incorpora questi segnali di catastrofe nella propria quotidianità senza opporvisi in alcun modo fondamentalmente perchè non li percepisce come tali.  Nessuno si indigna, nessuno si oppone, nessuno scende in piazza perchè non se ne vede il motivo reale. Anzi si attribuisce più potere proprio a coloro che intendono spingere sull'accelleratore verso il baratro perchè appiaono come i garanti dello status quo. L'opinione pubblica non vuole cambiare e i tanti negazionisti ambientali e i demolitori delle istituzioni democratiche fanno leva proprio su questa condizione di anestesia collettiva per accusare gli avversari per l'appunto di "catastrofismo". Quindi, a parte qualche gesto sporadico, isolato ed insignificante, continuiamo a fare come abbiamo sempre fatto.

Qualcuno è anche arrivato ad auspicare che questi segni silenziosi e latenti di catastrofe possano finalmente diventare espliciti in modo tale da scuotere l'opinione pubblica: una serie di catastrofi "emancipanti". Francamente preferirei non arrivare a tanto anche perchè almeno personalmente che stiamo correndo all'impazzata su un treno senza guidatore lungo un binario morto mi sembra già piuttosto evidente. 
 

mercoledì 18 luglio 2018

Tutto è "sagra"

Un tempo, nemmeno molto tempo fa, le sagre erano uno strumento che i paesi della cosiddetta Italia minore utilizzavano per promuovere sè stessi tramite la valorizzazione di uno specifico prodotto del proprio territorio: in breve erano un'occasione per farsi notare e farsi conoscere. Si trattava di pochi e ben definiti eventi focalizzati su prodotti che avevano un certo grado di tipicità come caratteristica ben specifica ed identificabile di un determinato borgo. Era quindi un'occasione di festa sincera e verace.

Oggi il numero e la tipologia delle sagre si è dilatato a dismisura. Ogni weekend (a partire dalla primavera fino ad autunno inoltrato) presenta un numero disarmante di sagre di qualsiasi cosa che si svolgono contemporaneamente in pratica ovunque, financo nei quartieri delle cittadine più grandi. Tutti i paesi, paesini e frazioni si gettano nella disperata caccia all'uomo per accaparrarsi fino all'ultimo turista disponibile in circolazione. Esiste poi la viariante delle varie notti bianche, verdi, marroni, ocra, beige, blu di prussia che alla fine sono solo delle sagre.

Qualsiasi parte più o meno commestibile di un numero sempre maggiore di animali diventa oggetto di una sagra. Qualsiasi espressione anche vaga di un dolce o dolcetto diventa oggetto di una sagra: dalla terrificante ed anonima "ciambella all'anice" o il secchissimo tozzetto fino a dolci anche più complessi (crostata, bignè), ma sempre connotati da banalità (devono essere economici e facili da realizzare al volo). Non mancano poi le sagre dei vari tipi di pasta o tortellino dove a farla da re è certamente quella specie di lombrichello (spaghettone di acqua e farina, abbastanza pesante e anonimo pure lui) che è fatto ovunque in Italia ma diventa una specialità locale solo perchè il suo nome cambia dopo poche decine di metri fra un borgo e l'altro.

Ci sono poi le sagre di pesce in cima alle montagne (gettonatissimo il baccalà o il pesce spada d'alta quota) o arrosti di carne in riva al mare (ormai sovrano è il cinghiale che praticamente convive tranquillamente con gran parte della popolazione non urbana italiana). Esistono poi sagre di roba da mangiare palesemente inventata o di cose banalissime che si potrebbero mangiare tranquillamente a casa propria (ad esempio le migliaia di frequentatissime sagre della bruschetta, del pane e nutella o della salsiccia tutte cose che francamente non riesco a spiegarmi...)

Tutte le sagre sono sempre prese d'assalto da torme di persone che sembrano non aver mangiato da tempo immemorabile perchè alle sagre "se magna bbbene" e ci si va solo per magnare inseguendo l'illusione puerile di un'idea di genuinità immaginaria introvabile nemmeno nei romanzi più fantascientifici di Asimov. 

Ci si sottopone sadicamente a viaggi di parecchi chilometri per raggiungere la sagre di qualsiasi cosa in uno di questi paesini: l'ultimo tratto di strada è sempre caratterizzato da un mare di curve e bivi privi di segnaletica e le auto vengono solitamente abbandonate lontanissimo, in fila  lungo il ciglio di strade improbabili. Al tuo ritorno, a sagra esaurita dopo aver camminato chilometri al buio, è tua e solo tua l'auto che rimane da sola sul ciglio della strada in mezzo alla campagna, perchè tutti sono andati via prima di te, triste monumento dell'abbandono e della desolazione.

Le sagre sono frequentemente un gran caos: la folla affamata, che a causa di un appettito inesprimibile dimentica rapidamente anche le più elementari norme dell'educazione e della convivenza civile, mette quasi sempre in ginocchio anche la più perfetta macchina organizzativa della più effciente pro loco. Non si sa mai dove andare, dove prendere il bigliettino, dove prendere i primi, dove prendere le bevande, dove pagare... le file saltano, i più esperti ed allenati ti passano regolarmente avanti, quello che hai ordinato è esaurito e devi aspettare almeno tre quarti d'ora prima di poter mangiare, non sai dove sederti... A causa della ressa e della scarsità dei posti sulle tavolate, le famiglie vengono divise e si finisce gomito a gomito (fiato a fiato) con un esercito di estranei talvolta smarriti come te, ma più spesso molto smaliziati, caciaroni, invadenti...  Questo perchè esiste il frequentatore abituale di sagre, che la sa sempre lunga e sa sempre come fare. Tu no: e rimani l'imbecille con il vassoio in mano che non sa dove andare....

La sagra è poi allietata da musica in piazza (non sempre di valore eccelso: ma chi vuoi che ci faccia caso?) o dalla banda del paese (importante momento di aggregazione della comunità locale senza dubbio) che fra mille stonature diffonde un'aura pesantissima di malinconia e mestizia infinita storpiando in modo sistematico brani arcinoti di musica classica di cui piano piano si perde memoria. Dopo la banda del paese rimarrebbe solo il suicidio: e invece no. In conclusione: i fuochi d'artificio! Sono il modo migliore, secondo l'opinione dello scrivente, per buttare dei soldi in fumo, nel vero senso della parola. Ma è possibile che nel XXI secolo, con Internet, i social network, i film con degli effetti speciali allucinanti, i videogames che hanno raggiunto livelli di grafica impressionante, e via discorrendo, ci sia ancora qualcuno che rimanga stupefatto di fronte a questi "specchietti colorati"? Posso capire che avessero un certo seguito nel XVIII o nel XIX secolo quando non c'era nulla, ma adesso i fuochi d'artificio mi sembrano veramente "datati"...  Chiedere un parere a riguardo a un qualsiasi esponente dei millennials.

Immancabili poi i carabinieri o i vigili urbani fuori dal paese a fare i controlli soprattutto a conclusione delle sagre del vino: un classico. Multe salate, patenti ritirate.

La sagra diventa quindi un rito collettivo di degradazione umana: si spende alla fin fine non poco per mangiare male dei cibi tutto sommato banalissimi..., si sta scomodi, si torna a casa gobbi, in compagnia forzata di gente con cui non staremmo mai (nemmeno sotto tortura), se ne esce distrutti, nel fisico e nello spirito. Eppure: ma quanto ci siamo divertiti?!?!?

Mentre quindi la società italiana da un lato si de-sacralizza, dall'altro si sagralizza.

La proliferazione delle sagre è un sintomo della povertà interiore di questi nostri anni? Forse, dato che la loro diffusione endemica a macchia d'olio sembra andare di pari passo con il progressivo decadere dei festival culturali (che tendono anche loro alla fine a diventare delle sagre mangerecce dove deve essere garantito primariamente il diritto sacrosanto all'alimentazione). La stessa decadenza sembra colpire anche altre manifestazioni tradizionali del folclore popolare. Sembrerebbe che alla gente non gliene importi nulla (o comunque importi sempre meno) di rassegne letterarie o cinematografiche o delle processioni o dei presepi: si deve da magnà! Del borgo che ospita la sagra alla gente smbra che importi anche meno perchè al limite diventa oggetto di una rapidissima passeggiatina perchè "ci siamo fatti un mare di curve per magnà non per andà a vedè delle chiese!"

La sagra è anche una rappresentazione grottesca della politica dei nostri giorni? Forse: la ciaciara c'è, il magna-magna pure, il menefreghismo non manca, la cultura latita, ....

Beninteso: io non ho nulla contro queste manifestazioni di cultura popolare.  Qualche volta ci vado e mi ci diverto pure. Mi sembra però che le sagre paesane stiano assumendo i caratteri di una vera e propria patologia sociale. Ovviamente nessuno è obbligato a frequentare le sagre della fettuccina o del cervello d'agnello o del pescegatto panato: ed è altrettanto giusto che ci siano persone che approfittano di questi appuntamenti per fare una gita e lasciare magari il caos della città.

Quello che mi lascia perplesso è che troppi comuni (piccoli comuni) ci stiano puntando tutto senza considerare che, senza un coordinamento magari fra paesi limitrofi, questo turismo mordi e fuggi (è proprio il caso di dirlo) apporta pochi benefici ai nostri borghi.  Troppi eventi scoordinati che si sovrappongono con duplicazioni varie portano molti Comuni a farsi una concorrenza spietata senza senso. 

Insomma, finita la sagra e tirati su i quantali di monnezza lasciati in giro, questi paesi tornano nel dimenticatoio da dove sono venuti. La sagra di per sè non apporta benefici durevoli se non forse per le pro loco che diventano quindi un notevole snodo del potere locale.Ma questo è un capitolo a parte.

E' vero che la gente ormai si muove solo per magnà e che del resto non gliene frega assolutamente nulla, ma forse bisognerebbe ritornare a proporre delle alternative: qualcosa a minor tasso di caciara, alcool, carboidrati, trigliceridi e colesterolo, ma capace di stimolare la curiosità e l'interesse per il vero patrimonio locale di un borgo. Forse all'inizio si tratterebbe di manifestazioni di nicchia ma certamente attribuirebbero molto più prestigio ad un Comune che le ospita rispetto alle salsicce o agli gnocchi. In fondo non siamo delle capre che si agitano solo per soddisfare i propri bisogni alimentari primari: siamo qualcosa di più e di meglio. E per questo forse meriteremmo di essere considerati con un po' più di rispetto.  

martedì 29 maggio 2018

Guardiamoci allo specchio

C'è una discreta confusione nell'aria in questi giorni, ma ci sono alcune cose che mi lasciano sempre molto perplesso. E non parlo di congiure internazionali, speculazioni di questo o di quello, inghippi e sotterfugi.

Se ci troviamo nelle condizioni generali in cui ci troviamo non è colpa della Germania, dell'Unione Europea o di Andorra. Sicuramente l'Unione Europea oggi appare come un progetto deludente sotto molteplici punti di vista.  Sicuramente le banche e la finanza, grazie anche alla connivenza di politici indecenti, hanno fatto di tutto (e continuano a fare di tutto) per aumentare le disuguaglianze e distruggere la dignità del lavoro (e migliaia di posti di lavoro).

Ma prima di tutto dobbiamo pensare alle nostre responsabilità.

Politici irresponsabili e incompetenti per decenni non sono stati in grado di rappresentare dignitosamente gli interessi dei cittadini e delle cittadine italiane nelle sedi europee, sotto tutti i punti di vista: basti pensare alla ricerca scientifica o all'agricoltura. Non abbiamo mai saputo utilizzare le risorse europee in modo adeguato e corretto, sprecando, rubando, sotto utilizzando o non utilizzando per niente fiumi di risorse. La politica nostrana ha sempre guardato all'Europa come un parcheggio politico di serie B di lusso preferendo sempre le beghe della politica nazionale. Nel frattempo gli altri Paesi europei hanno dimostrato più intelligenza e più lungimiranza.

Scaricare sull'UE e sull'Euro le nostre incapacità (dolose, colpose e criminali) mi sembra un escamotage per distrarre l'opinione pubblica dalle urgenti priorità che strangolano questo sventurato Paese e i suoi (spesso ipocriti) abitanti.  

Mentre non si fa altro che parlare della reazione dei mercati o delle borse, le vere e determinanti priorità rimangono la lotta alla corruzione pervasiva, all'evasione fiscale sistematica e alla criminalità organizzata. In realtà sono tre facce dello stesso problema: la distorsione morale, politica e sociale come forma di governo. Se queste tre emergenze non vengono affrontate e risolte definitivamente, possiamo tornare alla lira, al sesterzio, al baiocco ma continueremo a rubarci i soldi l'uno con l'altro,a evadere il fisco, a corrompere per una licenza o un appalto, a raccomandare somari e a truccare concorsi o a tenere sotto scacco con la paura ed il ricatto intere regioni italiane. E tutto questo avviene anche in questo preciso momento in cui scrivo. Tutti i giorni dobbiamo assistere e subire situazioni di questo genere: roba che in un qualsiasi Paese civile europeo sono considerate al limite della follia... E invece da noi sono la regola: nessuno ci fa più caso e di questo non si parla più.


Facciamoci allora tutti un piccolo esame di coscienza prima di accusare gli altri delle nostre colpe. E facciamoci una semplice domanda: cosa ho fatto e cosa faccio io (non Bruxelles, non Ulan-Bator) per alimentare questo stato di cose? Qual'è la mia personale responsabilità per lo schifo quotidiano che mi circonda?


Se non siamo capaci di governarci e di garantire a noi stessi una convivenza civile dignitosa in questo Paese, se l'Italia appare come una terra devastata sotto tutti i punti di vista, se l'Italia  non esiste più sulla cartina geografica europea e mondiale, non cerchiamo i colpevoli chissà dove: guardiamoci semplicemente allo specchio.

giovedì 3 maggio 2018

Loro

Parecchi anni fa, come tanti altri miei coetanei, mi recai a fare la visita militare (i "diversamente giovani" sicuramente capiranno di cosa parlo). Poichè avevo già allora seri problemi alla vista, dopo il primo giorno venni immediatamente dirottato dalla caserma all'ospedale militare per sostenere un visita oculistica specialistica.

Venni fatto accomodare in una grande sala d'attesa da solo: ad aspettare ore ed ore senza fare nulla e senza che accadesse nulla. Da solo. Insomma per circa una settimana sono rimasto ad aspettare in quella sala dalle 7 del mattino fino alle 18.00. Ad aspettare. Su una panca in uno stanzone vuoto. Verso l'ora di pranzo una suora mi portava qualcosa da mangiare: tuttavia non mi potevo mai allontanare perchè potevo essere chiamato dall'ufficiale per la visita oculistica in qualsiasi momento. Una settimana di attesa per quasi dodici ore al giorno. Alla fine, quasi all'improvviso e praticamente dopo quasi una settimana di attesa, venni chiamato da un militare che mi fece entrare in una stanza semi buia dove per l'appunto non si vedeva niente. Dal fondo di questa stanza nella penombra una voce mi chiese: "che lettera è quella?". Io risposi: "dove?". La voce dalla penombra del fondo della stanza disse con voce perentoria: "Ok. Non vede. Può Andare." Il tutto si è svolto in meno di un minuto.

Il militare che mi aveva accompagnato mi prese per un braccio e senza tanti complimenti mi portò fuori. Mi indicò un ufficio tal dei tali dove avrei ritirato dei fogli da far firmare, da far timbrare, da vidimare, ecc... ecc...

All'epoca ero un diciasssettenne neanche molto sveglio, ma mentre me ne tornavo alla pensione dove alloggiavo dopo questa brillante esperienza venni come folgorato da una specie di illuminazione. Insomma mi feci un'idea ben precisa su alcuni principi fondamentali che da allora hanno forgiato il mio rapporto con l'autorità ed il potere. 

1) L'autorità cercherà in tutti i modi di imporre le sue regole anche se assurde, irrazionali, inefficienti. Cercherà sempre di farti giocare con le sue regole che alla fine non sono regole, ma "parodia di regole" che il più delle volte non servono a niente. L'autorità non cercherà mai di venirti incontro ma, anche metaforicamente, ti farà aspettare in una sala d'attesa vuota, per una settimana per fare un qualcosa che poi necessita di un minuto di tempo. Lo scopo di tutto questo è o farti impazzire o, mettendo a dura prova la tua capacità di sopportazione, farti sviluppare una specie di sistema immunitario per cui in futuro sarai in grado di sopportare di tutto: ritardi, inefficenze, soprusi, sopraffazioni di ogni tipo. Alla fine della fiera, la paranoia ti sembrerà normale perchè impregna la quotidianità: e anche tu diventerai parte della paranoia generale. Insomma si sviluppa un'assuefazione all'assurdo, all'illogico come all'illecito e all'indegno.

2) Autorità è spesso sinonimo di "farsa", finzione. Ma attenzione: non c'è niente da ridere: non è una comica, non fa ridere. Al contrario essa è drammatica, tragica e patetica. Gradi, lustrini, cravatte, titoli altisonanti, ecc... in realtà sono un'illusione che cela il vuoto più assoluto, è una rappresentazione da "commedia dell'arte" che fa leva, grazie al potere dell'assuefazione di cui sopra,  solo sull'asimmetria del rapporto fra noi e "loro"... E alla fine tutto quello che loro faranno, anche se indegno, illecito, irrazionale, assurdo, scandaloso, ecc... non ci sembrerà poi così strano: anzi. Ci sembrerà normale.

martedì 10 aprile 2018

Sapere e Potere

 
Sapere e Potere sono due dimensioni (dello spirito e non solo) da sempre in conflitto fra loro. Chi detiene il potere ha sempre cercato di accentrare su di sè il sapere e comunque lo ha sempre temuto. "Coloro che sanno" o gli intellettuali, hanno sempre guardato con una certa aria snob il potere considerato come una cosa "materiale", sporca", contaminante la purezza del sapere e della conoscenza. Fin dai tempi più antichi (a Oriente come a Occidente) il sistema politico ideale era considerato quello che coniugava in modo armonico le due sfere: un sistema insomma in cui Potere e Sapere potessero convivere. 

Quello che noto oggi è che il Potere non sembra più interessato al Sapere. Il Potere considera il Sapere come un elemento irrilevante. Direi anche che per arrivare al potere e poi successivamente controllarlo, il Sapere è un ostacolo, è un problema. Il Sapere deve essere disprezzato, perchè è un fardello ingombrante, inutile, noioso, superfluo.

Il Sapere di conseguenza si è completamente ritirato dalla realtà: è come se abbia acquistato la piena consapevolezza della sua superfluità e inutilità. Di fronte ad una guerra persa in partenza, per sproporzione di mezzi e asimmetria operativa, il Sapere è diventato un elemento che accomuna pochi individui isolati come gli ultimi Jedi. 

L'atrofizzazione del Sapere e la convizione da parte di chi gestisce il potere della sua inutilità si materializza oggi nella Società del Fallimento Glabale. Dopo la Società del Rischio teorizzata da Beck anni orsono, siamo entrati a piedi uniti nella società del fallimento; un fallimento, che grazie alla globalizzazione, è per l'appunto globale. 

Senza il Sapere l'ignoranza dilaga ovunque come un valore condiviso, alimentando, schizofrenie sociali, paranoie, vicoli ciechi, fondamentalismi di ogni genere, incapacità a risolvere qualsiasi tipo di problema: e questo per il semplice motivo perchè "non sappiamo".

Il Potere senza Sapere (che anzi disprezza il Sapere) è incapace di affrontare i problemi globali che abbiamo di fronte e che spesso scambia come meri problemi locali o nazionali. La migrazione di grande masse di individui, il cambiamento climatico, la finanza senza controllo,  il problema dell'ingiustizia, la distruzione del lavoro come valore, ecc... sono tutti problemi globali le cui modalità di approccio (meno che mai le soluzioni) senza il Sapere sono destinate al fallimento.

Ovunque oggi volgo lo sguardo, vedo inequivocabili tracce del fallimento.


mercoledì 17 gennaio 2018

Siamo veramente così deficienti?

Un arcinoto adagio recita che ogni popolo ha il governo che si merita ovvero ha i politici che si merita. In questi giorni di sconfortante confronto (che qualcuno ha ancora il coraggio di definire "politico", ma che in realtà non ha alcun contenuto politico reale), un'umanità a dir poco agghiacciante sta facendo veramente di tutto per mostrare il peggio di sè. 

Quello che si riesce faticosamente a distinguere tra banalità varie, chiacchiere inconcludenti e generiche, promesse da fenomeni da baraccone, gaffe demenziali, sparate da ubriaconi, e via dicendo è alla fine la sconvolgente modestia di questa umanità scarafaggesca, il triste spettacolo di persone di bassissimo profilo umano dalle evidenti limitate capacità mentali, umane e talvolta anche morali. In alcuni casi sembra di stare ad ascoltare dei deficienti: nel senso letterale del termine, delle persone cui manca qualcosa per essere definite "Normali". Queste persone sembrano avere veramente qualcosa che non va anche in senso clinico. E questi dovrebbero gestire la cosa pubblica?!?!

La cosa più grave è che questi "deficienti al potere" (ripeto: nel senso patologico e letterale del termine) si rivolgono a noi (i senza-potere) come se fossimo degli altrettanti deficienti: quasi dei sub-normali incapaci di intendere e di volere, dei bambini stupidi, degli ingenui primitivi che possono essere ingannati con specchietti e vetrini colorati.

Ma è veramente così? Possibile che siamo tutti così deficienti da esprimere una classe politica e dirigente composta da altrettanti deficienti che si rivolge a noi in questo modo proprio come se fossimo dei poveri scemi e deficienti? Meritiamo proprio di essere quotidianamente trattati così?

Poichè tutto sommato siamo in democrazia, la riposta potrebbe essere ahimè positiva: sì, avviene questo perchè scegliamo noi chi ci debba rappresentare, tolleriamo noi la selezione avversa della classe dirigente e delle imprese colluse con la politica e la criminalità, la regola dei peggiori sempre al posto sbagliato, la frustrazione dei talenti e della creatività e delle realtà imprenditoriali migliori, i privilegi intollerabili, le ingiustizie e i soprusi continui, ecc... Se buttiamo la monnezza fuori dal finestrino della nostra auto poi non ci possiamo lamentare che ci sono i rifiuti in giro. Se piscio nella minestra poi non mi posso lamentare che abbia un sapore strano. 

Se pensi quindi che un deficiente possa essere abilitato ad agire,  parlare e (peggio del peggio) a decidere a tuo nome vuol dire che allora un po' deficiente sei anche tu.

Siamo complici di questo meccanismo perverso che non cade dal cielo. Non stiamo parlando di una catastrofe naturale: se in Italia si vive così male, considerato che si potrebbe vivere tutti molto meglio di così, è solo colpa delle nostre scelte, è solo responsabilità della nostra ottusità, inerzia e miopia.