martedì 21 ottobre 2008

Difendere le imprese o difendere l'ambiente?

Questa domanda esprime il modo in cui l'attuale governo italiano sta portando avanti la sua personale battaglia (insieme a consistenti settori di confindustria) per ottenere deroghe da parte UE sui limiti imposti dal protocollo di Kyoto. Sulla base di questo falso ricatto, ormai è ben chiaro che questo governo sta fecendo di tutto per sostenere la sua base elettorale ovvero i grandi interessi industriali ed in generale il lavoro autonomo. Che ciò si realizzi anche a costo di incentivare il più possibile l'evasione fiscale è già di per sè un fatto grave. Che poi ciò si persegua a danno del futuro di tutti è proprio pura follia. L'incapacità di concepire poi modelli di sviluppo adeguati al XXI secolo fa ben comprendere come questa classe politica, apparentemente in prima linea per le nuove tecnologie (guarda caso solo quelle delle telecomunicazioni), in realtà sia legata a dei principi di sviluppo del XVIII secolo ovvero ingranaggi, ciminiere fumanti e telai. Invece di ragionare in termini di innovazione, ancora vengono fuori gli effetti devastanti della strategia del "taglio dei costi" a qualsiasi essi siano. Bisogna che le imprese italiane, con Confindustria ed il Governo in testa, comincino a ragionare su forme di competitività innovative che si possano fondare anche sul rispetto dell'ambiente, piuttosto che cercare ogni possibile scappatoia per ridurre i costi produttivi, i primi dei quali sono sempre - guarda caso - quelli legati al rispetto dell'ambiente.

I tagli alla ricerca ed alla formazione rientrano in questa strategia ottusa per cui alla fine, visto che non disponiamo di innovazione, possiamo solo inqunare per far stare a galla il nostro sistema produttivo.

L'assioma "profitto e crescita a tutti i costi" non è più tollerabile e praticabile. Non si può accampare ogni scusa, l'ultima delle quali quella della crisi finanziaria, per eludere questo drammatico problema il cui conto viene sempre scaricato sul futuro. Tutta questa vicenda denuncia pertanto la miopia di gran parte del nostro sistema imprenditoriale e di quello politico. Bisogna invece percorrere con decisione la strada di uno sviluppo che produca reddito (e non profitto) in modo ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibile. Ormai non è più una questione "ambientale", ma "etica", non è più una questione produttiva, ma di democrazia economica.

Bisogna penalizzare pesantemente le imprese che inquinano (anche grazie a controlli reali e sanzioni certe e pesanti) e dare un vero sostegno, e non i soliti finanziamenti a pioggia agli "amici", alle imprese innovative e virtuose soprattutto quelle dei giovani che sono più sensibili all'innovazione. Abbiamo urgentemente biosgno poi di un piano energetico nazionale adeguato non solo ai bisogni di energia ma anche ai bisogni ambientali.

Tutti noi siamo chiamati a dare il nostro (apparentemente insignificante) contributo con le nostre scelte quotidiane ed i nostri stili di vita e magari facendo qualche rinuncia: non aspettiamo che siano i politici a fare qualcosa per noi perchè, come è del resto sotto gli occhi di tutti, in Italia oggi (nè a destra nè a sinistra) disponiamo di una classe politica (che abbiamo democraticamente scelto noi) all'altezza della situazione...

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