giovedì 29 maggio 2008

Ancient Wisdom, Same Problems

Just to remind the previous post (Food Schizophrenia), I cite the following text ”In the past, simple remedies were necessary to cope with simple vices. Today, on the contrary, we need more effective remedies related to the violence of the threats are menacing us. Medicines were once the result of a science managing herbs used to clean blood and to cure wounds: then, gradually, they achieved the present complexity. One can see that these medicines were useless when human bodies were healthy and robust, when nourishment was simple and not adulterated by opulence. Yet, instead of procuring food just to quieten hunger, we use food to continuously stimulate hunger: after having found thousands of ingredients to excite voracity, food necessary for a hungry stomach has been transformed into a problem for a full stomach. […] Our ancestors were immune from so many diseases and toughen up their bodies with fatigues and agricultural works: and in the evening they found on the table a very appetizing dinner which was as such just because they were hungry. […] diseases were simpler because their causes were simpler as well […] for this reason the present diseases are so unusual as well as the food we eat. Too huge food variety and complexity are causing many diseases. One can see how human voracity is predating earth and seas accumulating so much stuff only to satisfy the voracity of few individuals. […] our madness is manifesting not only in our private lives but also in the public one”. These words were written by the Latin philosopher Senecas about in the mid-I century AC, but they seem still to have an impressing actuality. They, on the one hand, confirm how certain issues already were at the spotlight. On the other hand, the issue of course is not only a food problem, but it involves also the knot of the excessive complexity of our society which, like too sophisticated ingredients and condiments for a too elaborated food, makes extremely difficult for us to have a control over the reality which we are immersed in. Thus the message is: simplify, simplify, simplify. Too often deceptively complicated answers are proposed and implemented to problems whose solution could be on the contrary rather simpler. This is the case of economy, environment, agriculture etc. where the implementation of simpler strategies and interventions (i.e traditional or organic agricultural methods, the re construction of the ties with land and its resources above all in cultural and emotional terms, the use of bikes instead of mega-SUVs for short distances, the simplification of consumption and life-styles, etc.). Maybe it could be necessary to begin in detracting to specialists and experts some areas and issues of our direct interests through increases in our personal commitment and regaining control over our lives and choices instead of delegating their management to generic “others”. Instead of complicating and complicating our lives, we should simplify the real focal keys of our problems and issues. In this way we will probably contribute in more appropriately coping not only with our health problems, but also with our private and public madness. This is the secret power of a good dish of vegetables!

Saggezza antica, stessi problemi

Ricollegandomi al post precedente (Schizofrenia Alimentare) riporto di seguito il seguente brano: “Un tempo per sradicare vizi semplici bastavano rimedi semplici. Ora, invece, c’è bisogno di rimedi più efficaci in relazione alla violenza dei mali da cui siamo assaliti. La medicina era una tempo la scienza di alcune erbe adatte a ripulire il sangue e a cicatrizzare le ferite: poi, poco alla volta, ha raggiunto la grande complessità di oggi. Si comprende che essa aveva meno da fare quando gli organismi umani erano saldi e robusti, quando il nutrimento era semplice e non adulterato da raffinatezze. Ma dopo che, in luogo di cercare il cibo per placare la fame, si ricorse ad esso per solleticarla continuamente e dopo che furono trovati migliaia di condimenti per eccitare l’ingordigia, quello che era alimento per lo stomaco affamato è diventato un problema per lo stomaco pieno […] gli antichi erano immuni dai tanti malanni di oggi e irrobustivano il corpo nelle fatiche e nei lavori agricoli: e li aspettava un pasto che piaceva solo perché avevano fame […] le malattie erano semplici perché altrettanto semplici erano le cause […] perciò le malattie da cui siamo afflitti sono insolite come i cibi di cui ci nutriamo. La grande varietà di vivande ha creato molte malattie. Vedi come la voracità umana saccheggia terre e mari, mettendo insieme tanta roba per soddisfare l’ingordigia di poche persone […] la nostra follia si manifesta non solo nella vita privata, ma anche in quella pubblica”. Queste parole sono state scritte dal filosofo latino Seneca verso la metà del I secolo dopo Cristo, ma mi sembrano di un’impressionante attualità. Esse confermano come già in passato certe questioni siano venute alla ribalta. Il problema non è ovviamente solo alimentare, ma investe anche il nodo della eccessiva “complessità” della nostra società che, come i condimenti troppo sofisticati di un cibo troppo elaborato, rende difficile, da parte di tutti noi, avere un controllo su quello che ci circonda, anche nel caso di eventi molto vicini a noi. Il messaggio è quindi: semplificare, semplificare, semplificare. Troppo spesso vengono individuate risposte artificiosamente complicate a problemi la cui soluzione in realtà sarebbe molto semplice. Ciò vale per l’economia, la tutela dell’ambiente o l’agricoltura dove il ricorso a formule appunto più semplici (pratiche di coltivazione tradizionale, recupero dei legami con il territorio e le sue risorse, usare la bicicletta invece del SUV per gli spostamenti a breve raggio, semplificazione dei consumi e degli stili di vita, ecc…). Forse bisogna cominciare a sottrarre agli esperti e agli specialisti gli ambiti di nostro diretto interesse e riappropriarci del loro controllo, semplificando, invece che complicando sempre di più, i focus reali dei problemi. In tal modo potremo anche fare fronte, non solo ai nostri problemi di salute, ma anche alla nostra follia privata e pubblica. Questo è il potere di un buon piatto di verdure e legumi!

martedì 27 maggio 2008

Food Schizophrenia

I have recently noticed on an issue of the Italian magazine “L’Espresso” that Michael Pollan is about to publish his latest book titled in Italian “Il Dilemma dell’Onnivoro (The omnivorous’ dilemma)”. Mr Pollan is a journalist who collaborates to the “New York Times” and he is professor in Scientific and Environmental Journalism at the Berkley University. In this book Pollan analytically examines the schizophrenia affecting millions of individuals all over the world who, coping with a physical and mental obesity, are looking for ideal food but totally unable to make conscious and informed food choices. The book moves from the principle: we get richer and richer, we eat worse and worse, we get sicker and sicker. Pollan’s major remarks are directed against the “supermarket culture” where, notwithstanding a huge spectrum of food choices, apparently very appealing and presented in an aseptic context, people find “objects” having labels full of technical terms and acronyms which finally declare the presence of chemicals even in the simplest product. Another critical aspect involves the problem of the origin of these products which, before arriving in a supermaket’s shelf, usually cover very long distances with heavy impacts in terms of environmental pollution. The Pollan’s answer to these problems is apparently simple and obvious: it is necessary a sensible paradigm shift opting for organic products, reducing meat consumption (which implies high CO2 emissions and a sensible use of cereals for animal breeding), buying products as less as possible in the supermarkets and preferring the farmer markets. All this detains remarkable implications not only for the reconstruction of a de-industrialized agriculture and for environment and its resources, but only for our health. The present diet models hence represent a real problem: renouncing to this foolish diet and eating traditional food (to be consumed in reduced doses) we will do something really positive and constructive to avoid obesity and diabetes.

Schizofrenia alimentare

Leggo sulla rivista “L’Espresso” che a giugno dovrebbe uscire, per l’editore Adelphi, l’ultimo libro di Michael Pollan dal titolo “Il Dilemma dell’Onnivoro”. Pollan è un giornalista collaboratore del “New York Times” e docente di giornalismo scientifico e ambientale all’Università di Berkley. In questo libro Pollan esamina in modo critico la schizofrenia che affligge milioni di persone in tutto il mondo che, in preda all’obesità fisica e mentale, sono in cerca di alimenti “ideali” ma poi totalmente incapaci di effettuare delle scelte alimentari consapevoli ed informate. Il libro parte dal principio: più ci arricchiamo, più mangiamo male, più ci ammaliamo. Le maggiori critiche Pollan le muove contro la cultura alimentare del “supermercato” dove di fronte alla gigantesca ampiezza della scelta di prodotti, apparentemente molto invitanti ed esposti in un ambiente asettico privo di odori, le persone alla fine si trovano davanti ad “oggetti” dalle etichette comprensibili solo ad un esperto che dichiarano la presenza di sostanze chimiche anche nei prodotti più semplici. Altro versante critico è quello della provenienza di questi prodotti che per arrivare sugli scaffali percorrono moltissimi chilometri con pesanti ripercussioni in termini di inquinamento ambientale. La risposta di Pollan è apparentemente semplice ed ovvia: serve un notevole "paradigm shift" optando per i prodotti biologici, riducendo il consumo di carne (che implica notevoli immissioni di CO2 ed un notevole impiego di cereali), acquistando nei supermercati solo il minimo indispensabile e rivolgendosii il più possibile ai farmer market. Tutto questo non solo ha notevoli ripercussioni sulla ricostruzione di una agricoltura de-industrializzata e sulla tutela dell’ambiente e delle sue risorse, ma anche implicazioni per la salute. L’attuale modello di alimentazione costituisce quindi un vero problema: rinunciando a questa alimentazione folle e ritornando a cibi tradizionali (da consumare in quantità minori) potremo fare veramente qualcosa di buono per evitare l’obesità o il diabete.

lunedì 26 maggio 2008

The Conquest of Space

This title could be actually rather tricky: I do not want to discuss about astrophysics and space missions. The space I would like to speak about is the “public space” composed of squares and roads above all in our small rural centres. To do this, I would like to share a small and maybe (for many professional politicians) meaningless initiative which however, in my opinion, is worthier than many bla bla. On Friday may the 23rd 2008, the sporting association which I belong to, has organized an event dedicated to Athletics for children composed of 5 game areas for different sports and games, from launches and speed to tug of war. The games have been attended by a large number of children accompanied by their parents and families, within a contest among four villages which has been held in the small square and in the surrounding small roads and lanes of the oldest part of the village where I live. Even if ultimately only one team won the contest, all the children have been awarded with medals and gadgets and all the participants had the possibility to relax and have a break thanks to a delicious buffet offered by our association. The entire event had a cost of less than 200€ offered by the town council. From this event, many lesson can be taken. First of all, the inhabitants of a small rural village in central Italy had the opportunity to re-gain squares and roads, free from cars, and giving again to these spaces their original function and scope as public meeting space. In addition, the oldest part of the village seemed to have a new life and re-gain its centrality which tends to progressively loose for an increasingly shift towards new residential areas: just as an example, many old people living in the oldest part of the village, were excited by the presence of so many children in the squares and roads of the town centre, inciting the various athletes and being very happy to have the possibility to spend their time in a funny and pleasant way. I personally believe that the possibilities to built different cultural and development paths essentially pass through the involvement of children given then the opportunity, for example through little sport activities, to stimulate their intelligence, self-discipline, emotions, spirit of collaboration, capacity to be engaged and committed and their capacity to live together in a positive, constructive and non-antagonistic way. Educating and informing children may allow to reach their families (and so the adults): also with these little initiatives, it is possible to show the existence of different way of staying together (in opposition to the culture of outlets, televisions and videogames) contributing to build, step by step, a critical community which can consciously resist extremisms, violence, self-assertion at any cost, arrogance, mercification and monetization of any aspect of our life. I do believe that this policy of “many little things” is surely more important than mega-projects and bla bla of the experts if a real rural and local development and the promotion of our territories and local communities is really at stake. By the way, on June the 8th we will in this place again for a chess contest for children.

La Riconquista dello Spazio




Questo titolo potrebbe trarre in inganno: non intendo discutere di astrofisica e di missioni spaziali. Lo spazio di cui voglio parlare è quello pubblico fatto di piazze e strade soprattutto dei nostri piccoli centri di provincia. Per fare questo vorrei condividere una piccola e forse (per molti politici di professione) insignificante iniziativa che però, secondo me, vale più di tante chiacchiere. Venerdì 23 maggio 2008, l’associazione sportiva di cui faccio parte, ha organizzato, un pomeriggio dedicato al “Giocatletica” una manifestazione, riservata ai bambini/e, composta da 5 zone di gioco dove si sono svolte gare di marcia, velocità, lanci, gioco della campana e tiro della fune. Le gare hanno visto la partecipazione di un gran numero di bambini, accompagnati dalle loro famiglie, con un torneo fra 4 Paesi che si è svolto nella piazzetta del borgo antico del nostro piccolo paese e lungo le vie e vicoli circostanti. Anche se alla fine una sola squadra ha vinto il torneo, in realtà alla fine tutti i bambini sono stati premiati e tutti i presenti hanno potuto poi riprendere fiato grazie anche ad una buona merenda offerta dalla nostra associazione. Da questa manifestazione è possibile estrarre parecchie lezioni. In primo luogo, appunto, gli abitanti di questo piccolo paese del centro Italia, si sono potuti riappropriare di piazze e vie, liberandoli dalle automobili, restituendo a questi spazi la loro funzione originaria di area pubblica. Inoltre, il borgo vecchio del paese è sembrato rivivere e riacquistare una sua centralità, che tende sempre più a perdere a vantaggio delle nuove zone residenziali più moderne; basta pensare ai tanti anziani che vivono nella parte vecchia che, in un pomeriggio fuori dall’ordinario ed incuriositi dalla presenza dei bambini nelle vie impegnati nelle diverse prove, facevano il tifo potendo godere di un momento di svago e di emozione. Personalmente penso che le speranze per poter costruire qualcosa di nuovo possono essere riposte soprattutto nei bambini dando loro la possibilità, per esempio tramite piccole attività sportive, di stimolare la loro l'intelligenza, volontà, autodisciplina, emotività, spirito di squadra, capacità di sforzo e di sacrificio, e capacità di vivere con gli altri in modo costruttivo e non antagonistico. Tramite quindi i bambini è forse possibile raggiungere le loro famiglie (e quindi gli adulti): anche con queste piccole iniziative è possibile far vedere che esistono modi diversi di stare insieme (in contrapposizione alla cultura dei centri commerciali, della televisione e dei videogames) costruendo un passo alla volta una comunità critica che si può opporre in modo consapevole ai fanatismi, al divismo, alla violenza, all’affermazione a ogni costo, all’arroganza, alla mercificazione e monetizzazione di ogni aspetto della nostra vita. Credo quindi che alla fine conti più questa “politica delle tante piccole cose” piuttosto che i mega progetti e le tante chiacchiere degli esperti se si vuole fare del vero sviluppo rurale locale e valorizzare i nostri territori e le nostre comunità. Intanto domenica 8 giugno torneremo nella stessa piazza per un torneo di scacchi riservato ai ragazzi.

giovedì 22 maggio 2008

Local Development and a Free Competition in the “Market of Politics”

Defining, measuring and evaluating in economic, social and political terms, those mechanisms at the base of development represent a methodological foundation in approaching to development itself even at local level. To these factors, two critical variables have to be added: the management of complexity which is amplified by uncertainty. The parallel action of these elements determines the real framework of the problematic characters of a given territory to be considered as a natural, social and cultural context composed of material resources (population, landscape, environment, biodiversity, institutions, economic resources and actors, etc.) and immaterial resources (traditions, cultures, religions, languages, dialects, etc.) which may be translated into expressions of local material culture or economy (artistic expressions, handcrafted products, agrofood products, traditional architectures, archaeological sites, etc.). This means that development interventions and measures for a given area should keep proper attention to a large number of facets and intervention levels. One may however ask: how many local administrators in Italy are likely to detain sufficient knowledge and awareness about these issues? Does the economic, social and ethic degradation in many Italian areas depends on “bad luck” or on the incapability of local administrators? Do development/underdevelopment/deviated development in Italy really depend on fate or on the presence/lack of isolated good will individuals, or on the prevalence of particular interests? The most obvious reply is: local administrators are elected by common people and consequently they have the politicians they have chosen. I’m actually tempted to ask: considering that in Italy politics attract only bad individuals (because honest people are unable to be involved in the perverse mechanisms of italian politics at any level) why don’t we do like in soccer? Why don’t we engage local administrators and politicians abroad (however with EU citizenship)? It is better to have a public administrator with Austrian or Dutch citizenship (but honest) or an Italian public administrator (but dishonest)? Why do our politicians always speak about free market for others and the “market of politics” actually works as an oligopoly? Why don’t we force Italian parties to face an European political competition? Any suggestion is welcome.

Sviluppo Locale e Libera Concorrenza nel “Mercato della Politica”

Definire, misurare e valutare socialmente, politicamente ed economicamente i meccanismi alla base dello sviluppo tutto ciò rappresenta i fondamenti metodologici nell’approccio allo sviluppo stesso che possono essere impiegati anche per la definizione di forme di sviluppo locale. A questi fattori devono essere aggiunte poi due variabili critiche ovvero la gestione della complessità che viene amplificata dall’incertezza. L’azione simultanea di tutti questi elementi determina i reali contorni della “problematicità” di un determinato territorio inteso come un contesto naturale, sociale e culturale composto da risorse materiali (popolazione, paesaggio, sistemi ambientali, biodiversità, istituzioni, risorse economiche, ecc…) ed immateriali ovvero peculiari aspetti della dimensione locale (tradizioni, culture, religioni, lingue, dialetti, ecc.) che possono essere tradotti nella cultura materiale locale ovvero manifestazioni artistiche, prodotti artigianali, prodotti alimentari tradizionali, architetture tradizionali, siti e reperti archeologici, ecc… Questo significa che gli interventi di sviluppo per un dato territorio dovrebbero tener conto di un gran numero di sfaccettature e livelli di intervento. La domanda che ci si pone diventa però la seguente: quanti amministratori pubblici locali in Italia detengono una conoscenza o una consapevolezza di queste problematiche? Il degrado economico, sociale ed etico di tante aree del nostro Paese da quanto dipende dalla “sfortuna” e quanto dall’incapacità degli amministratori locali? Quanta parte dello sviluppo/sottosviluppo/sviluppo deviato locale in Italia deriva dal caso, dalla presenza/mancanza di buona volontà di qualche soggetto isolato, dalla prevalenza di altre logiche? La cosa più ovvia che si può rispondere è: gli amministratori locali sono eletti dalla gente quindi ognuno ha i politici che si merita. Mi viene da ribattere ulteriormente: visto che sembra che alla politica si avvicinino solo i peggiori (dato che le persone oneste non riescono a farsi coinvolgere nei meccanismi perversi della politica italiana a tutti i livelli) perché non facciamo come avviene nel calcio e gli amministratori locali o i politici li ingaggiamo dall’estero (comunque di cittadinanza UE)? E’ preferibile un sindaco di origine austriaca o olandese onesto e capace oppure un sindaco mascalzone ed incompetente di casa nostra? Perché i politici parlano sempre di libero mercato, mai poi il “mercato della politica” in realtà funziona come un oligopolio? Perché non obblighiamo i partiti a confrontarsi con la concorrenza “politica” europea? A voi la risposta.

martedì 20 maggio 2008

Ma veramente “ormai non c’è niente più da fare”?

“Anche nei tempi più bui abbiamo il diritto di attenderci una qualche illuminazione che potrebbe giungere non tanto da teorie e nozioni astratte quanto dalla incerta, tremolante e spesso flebile luce che alcuni uomini e donne, nella loro vita e con il loro operato accenderanno pressoché in qualsiasi circostanza e diffonderanno durante il tempo che è stato loro concesso in terra”.

Queste belle parole di Hannah Arendt mi sembrano particolarmente utili per introdurre un tema molto sensibile che credo che alla fine si collochi alla base dell’attuale modello perverso di sviluppo economico e sociale. Spesso infatti ci sentiamo come degli spettatori inermi ed impotenti di fronte a scriteriati modelli di consumo, al degrado ambientale, al senso di irresponsabilità etica e politica; ci rendiamo anche conto delle situazioni particolarmente problematiche in cui siamo costretti a vivere, ma ci sentiamo appunto come degli spettatori che sentono di non poter fare nulla per cambiare questo stato di cose. La cosa ulteriormente scioccante è constatare lo stesso senso di impotenza anche nei decisori politici sia a livello locale che nazionale o internazionale: quante volte mi è capitato di parlare con personaggi più o meno di rilievo del panorama politico italiano e mi sono sentito dire, nel momento in cui chiedevo un impegno ad esempio sui temi dello sviluppo rurale sostenibile, “Belle parole, ma come si fa? In pratica sono cose irrealizzabili perchè la politica segue altre logiche, ci sono troppi interessi in ballo!”. Insomma veniva fuori che chi si dovrebbe occupare del benessere di tutti, alla fine ti dice che lui, da solo, non può fare nulla e che bisogna sempre addivenire a dei compromessi. Questo allora significa che anche chi sta “in alto” non può fare niente e che quindi siamo su un treno in corsa senza un macchinista lanciati a tutta birra lungo un binario morto. Questo appare anche più drammatico se si pensa ad esempio alle tante scelleratezze che vengono compiute ai danni dell’ambiente o della salute pubblica o dei crimini “alimentari” o farmaceutici; sappiamo tutti che questo ci porta alla rovina ma intanto accontentiamoci di tirare a campare per il presente. Poiché la politica cammina sul breve periodo, per la vicinanza delle scadenze elettorali, mentre i problemi dell’etica pubblica, dell’ambiente, dell’economia sostenibile o della sicurezza sono di lungo periodo, ecco che le strategie e le modalità che vengono individuate per fare fronte a queste problematiche amplificano l’inefficacia e l’inconsistenza di che le promuove “dall’alto” aumentando in tutti noi l’idea che: è vero siamo di fronte a problemi epocali, come ad esempio il cambiamento climatico, ma non si può fare nulla!! L’impressione è quindi che la scuola non è più gestibile, la sanità pubblica non è più gestibile, la malavita organizzata non è più gestibile, Napoli non è più gestibile, il clima non è più gestibile, ecc… Credo che un certo tipo di politica in Italia riesca a sopravvivere grazie a questo diffuso senso di impotenza che invece costituisce il principale nodo che debba essere affrontato e risolto ancor prima di qualsiasi altro problema che si può collocare alla base di un più o meno corretto sviluppo economico e sociale: ancor prima della legalità, della sostenbilità ambientale, delle problematiche energetiche bisogna riappropriarsi del senso di responsabilità individuale e collettiva e della volontà quantomeno di tentare di gestire in qualche modo i processi all’interno dei quali siamo immersi. Il punto critico di tutta la discussione si nasconde proprio nella possibilità di rivedere la società come “una proprietà comune” all’interno della quale quello che io faccio in un modo o nell’altro “conta”. La ri-appropriazione di questa coscienza deve servire a dare un senso ed una direzione al proprio impegno politico e sociale. Tutte le volte che al mattino mi sveglio o poco prima di addormentarmi la sera mi domando sempre: che senso ha tutto questo sforzo che faccio? Che senso ha comprarsi una (sia pur efficientissima) orrenda Toyota Prius quando il mio vicino di casa scorazza con un mastodontico SUV che consuma carburante ed inquina come una centrale termoelettrica? Che senso ha impegnarsi per attività culturali all’interno di una piccola comunità locale quando l’ideale dei più è Eurodisney? Che senso ha difendere i prodotti tipici, biologici o della filiera corta, quando il mio solito vicino di casa pretende i pomodorini in pieno inverno? Perché insistere con tutte queste questioni che non fanno altro che inimicarmi un sacco di persone, bloccarmi la carriera lavorativa e crearmi una marea di problemi anche a livello politico? Perché non faccio come tutti e mi faccio gli affari miei? Francamente non sono ancora riuscito a darmi una risposta soddisfacente a queste domande: comunque continuo sempre a tirare dritto per la mia strada. Torno però alle parole di Hannah Arendt e mi convinco sempre di più che il vero cambiamento possibile non potrà mai scendere dall’alto ma si legherà alle tante piccolissime azioni di tante persone: lasciamo perdere i mega-progetti e le mega iniziative e cerchiamo piuttosto, come scrisse anche V. Havel, di far valere “Il Potere dei Senza Potere” nell’infinità delle piccole cose.

Is there really nothing to do?

“Even in the darkest times we have the right to expect some illumination which won’t come from theories and theoretical notions, but rather they may come from an uncertain and hesitant light some men and women, in their lives and with their work, will ignite almost in any circumstance and will diffuse during the time which has been conceded to them”. These noticeable words by Hannah Arendt are particularly critical to introduce a very sensitive issue may be placed at the base of the contradictions of the present perverse models of economic and social development. Too often we feel like powerless “spectators” facing irresponsible consuming models, environmental degradation, ethical and political irresponsibility: we realize the problematical dimension of the situations we are forced to live in, but we keep on feeling like spectators who know (or sometimes prefer not to know) to be unable to change these problematic situations. Even more shocking is to verify the same sense of incapability also in decision makers at local, national and international level: many times I had the occasion to discuss with more or less relevant political figures in Italy and I have been told, when I tried to ask for their political commitment for example on the issues of sustainable rural development; “Good words, but what can I do? All this cannot be put in practice because politics follow different paths and there are too many interests involved”. Finally the paradox is that the persons who should be directly engaged (and paid) in pursuing the public wealth, cannot do anything having to find always some compromises. This means that also the persons staying “above” cannot do anything: we are on a train going at a foolish speed on a dead end without a driver! This is likely to be even more dramatic thinking about those many crimes continuously made against the environment, public health, food contaminations and drugs speculations, etc.: we all know that the present situation is driving us to a fatal end but in the meanwhile we prefer to survive in an irresponsible present.

Politics are only focused on short run issues, due to election pushes, while the problems of public ethics, environment, sustainable economy, security, social inclusion and cohesion, human rights, are essentially cultural issues requiring long term actions; this time-gap always emphasizes the inefficiency, incapability and low profile of those promoting these interventions from above increasing, at the same time, in the public opinion the idea: we are facing epochal issues, such as the global warming, but nothing can be done! The final conclusion is that schools are no longer manageable, public health is no longer manageable, the organized crime is no longer manageable, Neaples is no longer manageable, climate is no longer manageable, etc. I believe that a certain kind of politicians in Italy may survive only thanks to this widespread feeling of impotence which on the contrary represents the main knot to be solved before any discussion about a more or less correct economic or social model of development: even before legality, environmental sustainability, energy, etc. it is necessary to re-gain a sense of individual and collective responsibility together with a conscious will to try at least to manage the processes which we are immersed in. The critical bias of the whole discussion is linked to the possibility to reconsider a “society” as a “common property” within which anything I do, in one way or another, “matters”. This conscious re-gaining is an essential step to give a sense to any political and social commitment.

Every morning I wake up or just before sleeping in the evening, I wonder: what’s the meaning of my efforts (including this blog…)? What’s the meaning in buying a (even if efficient) ugly Toyota Prius, when my neighbour use a giant SUV which consumes and pollutes like a coal power plant? What’s the meaning in being engaged in many cultural activities for local communities when the commonly shared ideal way of life is Eurodisney? What’s the meaning in defending typical or organic products when my neighbour pretends red tomatoes in winter? What’s the meaning in insisting with these issues causing me only a lot of enemies, blocking my career and creating a lot of problems even at political level? Should it be better to think only about my own business as many others do? Honestly I haven’t find good answers to these questions yet: however I keep on going forward as usual. Just a flashback to the Hannah Arendt’s words: I’m always more convinced that a possible positive real change never will fall from above but it will be linked to many small actions of many common people. Forget mega-projects and mega-initiatives and rather try, as V. Havel wrote, to make the “power of powerless people” emerge in the long course of the chain of the every “little thing”. Just believe it.

venerdì 9 maggio 2008

La Tragedia dei Beni Pubblici

Le difficoltà che si incontrano nel portare avanti forme di sviluppo locale decente (gestione dei rifiuti, allocazione e qualità delle infrastrutture, qualità delle acque, gestione delle aree residenziali, ecc…) non dipendono mai dalla disponibilità o meno di risorse economiche ma piuttosto da una totale mancanza (dolosa e/o colposa) di cultura dei beni pubblici non solo fra gli amministratori pubblici ma fra tutti gli agenti locali (singoli cittadini, associazioni, imprenditori, ecc…). Anzi, nel momento in cui vi è un eccesso di risorse finanziarie (come ad esempio in presenza delle varie emergenze più o meno straordinarie), questo flusso di denaro finisce con il drogare il sistema locale che si adopera e si industria esclusivamente per mettere le mani sui finanziamenti ponendo in secondo piano gli stessi beni pubblici. Il problema è che un concetto troppo generico di bene pubblico finisce con facilitare il lavoro della malagestione con una sistematica disconnessione fra i diversi ambiti di intervento che riguardano un territorio nel suo complesso: ecco quindi che gli interventi per le infrastrutture vanno in collisione con quelli dell’ambiente oppure le attività industriali sono incompatibili con quelle agricole, la gestione delle foreste diventa un impiccio per i piani regolatori… Tutto questo dimostra la più completa sottostima della presenza delle interdipendenze che alla fine porta non solo alla continua erosione dei beni pubblici, ma anche alla sistematica distruzione della possibilità di generarne in futuro. Quello che alla fine conta è un’allocazione delle risorse nel modo più opaco possibile, magari sulla base della mera fedeltà politica, cosa che crea un vacuum nella gestione amministrativa e la fine di qualsiasi pianificazione territoriale razionale. Per questo allora la qualità dei beni pubblici diviene l’indicatore del comportamento degli agenti chiamati alla loro produzione e gestione: abusi e forme di malagestione (per non parlare delle pratiche illegali), troppe norme e regolamentazioni troppo complicate, mancanza di trasparenza, infiltrazione di interessi privati finiscono con causare una vera e propria tragedia dei beni pubblici in Italia.

Cemento e Sviluppo Locale


Oggi si parla molto di indicatori della qualità della vita come strumenti alternativi al PIL. La ricerca ha messo a punto un gran numero di questi indicatori connessi ad esempio ai livelli di istruzione, qualità dei servizi sanitari, ecc… Vi sono poi alcuni fattori che possono anch’essi agire come indicatori, magari anche in modo un po’ più subdolo, capaci di mettere a nudo anche le stesse capacità di governance di molte amministrazioni locali e centrali del nostro Paese. Uno di questi è sicuramente la qualità del paesaggio e le modalità attraverso le quali esso viene gestito; questi fattori possono infatti diventare un’espressione visibile della competenza delle istituzioni locali relativamente ai “beni pubblici” (ambiente, salute pubblica, istruzione, ecc…) e delle loro capacità di amministrarli correttamente. L’incapacità, l’incompetenza e talora il comportamento doloso degli amministratori pubblici si riverberano immediatamente sull’ambiente e sul paesaggio perché sono considerati in Italia elementi politicamente inconsistenti ed irrilevanti, anche se economicamente interessanti anche per il crimine organizzato. Invece ambiente e paesaggio costituiscono un vero e proprio bacino complesso di beni pubblici interrelati che subito denunciano la presenza di forme di erosione e danneggiamento di una o più di queste componenti sensibili del territorio. La gestione della residenzialità è ad esempio uno di quei settori dove maggiormente le amministrazioni pubbliche locali coinvolgono i privati nella gestione di alcune componenti critiche del territorio: spesso la gestione dei beni pubblici connessi a queste componenti (come appunto il paesaggio e la generale pianificazione del territorio) scaturisce dalla mera mediazione di interessi privati. Le continue pressioni da parte delle imprese edilizie e l’illusoria idea che il cemento possa creare occupazione e sviluppo, possono creare delle pesanti distorsioni causate dalla esclusiva prevalenza di interessi particolari sulla pianificazione territoriale che viene immediatamente visualizzata dalla qualità del paesaggio: anzi alla fine la qualità dello spazio dove una comunità deve vivere e lavorare dipende primariamente da questo perverso meccanismo. Vengono allora a galla le (in)capacità coercitive delle istituzioni pubbliche e quelle discrepanze fra interessi pubblici e privati ad esempio quando si deve decidere di fare o non fare dei controlli, applicare rigidamente o meno delle norme, essere particolarmente severi con qualcuno e molto permissivi con altri. Invece di fornire beni pubblici questi amministratori forniscono dei “mali” pubblici. Il valore di un paesaggio dipende da come le costruzioni vengono allocate ed esteticamente costruite. Una distribuzione spaziale caotica e i troppi condoni edilizi evidenziano le varie forme di pressione e competizione per l’uso dei terreni: la terra appare quindi eccessivamente “capitalizzata” e la sua eventuale edificabilità cattura l’intero suo valore a danno di tutti gli altri beni pubblici che sono ad essa collegati. La cosa più importante è “costruire” e la razionalizzazione dell’allocazione della residenzialità o altri fattori estetici/etici non sono presi minimante in considerazione. La massiccia capitalizzazione del fattore suolo è la sola guida nella gestione del paesaggio e del territorio con la devastazione dei beni pubblici (che non vengono nemmeno riconosciuti come tali) e la totale disattenzione nei confronti di eventuali esternalità negative delle scelte residenziali sugli altri beni pubblici.

Cement and Local Development

Today the indicators of quality of life are at the core of an intense debate as alternative tools to GDP. Scientific research has pointed out a large number of such indicators linked for example to education, health, crime, etc. Yet there are some factors which may act as indicators as well, sometimes in a rather furtive way, capable however to denounce the governance capabilities of central and local administrations in Italy. Among these, the quality of landscape and the modalities of its management can become a visible expression of the local institutions’ capability in correctly managing public goods (environment, health, education, security, etc.). Incapability, incompetence, and (not rarely) the illegal behaviour of public administrators, immediately reverberate over local environment and landscape because in Italy these elements are considered politically not relevant even if constitute a sensitive business also for organized crime. On the contrary, environment and landscape are a complex network of bundles of public goods which immediately denounce the erosion of one or more of these sensitive components (health, ethics, crime, speculations). The management of residential issues is a typical example of a critical sector where public administrations involve private agents in the management of some critical territorial components: the public goods’ management related to these components (such as landscape and global land management) results often from a crude mediation of private interests. Continuing pressures from construction firms and the misleading idea that cement can create jobs opportunity and development, can create severe distortions caused by an exclusive prevalence of private interests in territorial management which is immediately materialized by the landscape’s quality. Finally the quality of the space where a community lives, operates and works completely depends on these perverse mechanisms. Coercion (in)capacities of public institutions soon emerge together with those discrepancies between private and public interests when deciding to make or not to make controls and inspections, rigidly or inaccurately apply norms and regulations, be particularly rigorous with someone or extremely tolerant with others. Public goods tend to be under- or mal-provided, and administrators provide more public “bads” than public goods. Landscape value depends also on how facilities are spaced, located and aesthetically built. A rather chaotic spatial distribution of houses and other buildings in the area and too many state laws legalizing illegal constructed buildings and illegal modification of the existing buildings emphasize different forms of pressures and competition for the land destination: this means that land appears to be highly “capitalized” capable to capture the whole value to which other local public goods are attached. The bias is “locating” and the optimal sitting of this location is not an (aesthetic/ethic) issue. In this case a massive land capitalization represents the sole guide in landscape management causing an inefficient provision of this and other connected local public goods (which are not recognized as such), infiltration of the organized crime completely determining how space is allocated, the value of local externalities and the impact of residential choices on other local public goods.

The Tragedy of Public Goods

The difficulties in supporting and fostering forms of decent local development in many areas in Italy (waste management, allocation and quality of infrastructures, water and energy management, territorial planning, etc.) never depends on a lack of economic resources but rather on an absolute lack of culture on public goods and public interests not only among public administrators and institutions but also among all local agents (individuals, families, associations, entrepreneurs, farmers, etc.). Reversely, when coping with an excess of public investments (for example in case of one of our usual emergency), this financial flow dramatically alters local systems which operate and survive only to put their hands on these economic resources pushing anything else behind. A too generic concept of public goods contributes to make mismanagement even an easier job with a systematic disconnection between the different intervention dimensions related to a territory as a whole: for this reason infrastructural measures systematically collide with environment, or industrial activities are incompatible with agriculture or forestry management becomes a “problem” for real estate industry, etc. This evidences a complete underestimation about the presence of interdependencies which definitively causes not only a continuing public goods erosion, but also the destruction of the possibilities to produce further public goods in the future. The main scope is to achieve an opaque resource allocation, possibly thanks only to a political fidelity, creating a vacuum in the administrative action and in a rational territorial planning. For this reason the quality of public goods becomes an indicator of the behaviour of those agents involved in their production and management: abuses, mismanagement (not to say illegal practices), too many norms and too complicated regulations, lack of transparency, infiltration of private interests everyday cause a real tragedy of public goods in Italy.

mercoledì 7 maggio 2008

Janus: the beginning

With this title, I try to give a start to this little space for an exchange of opinions and visions to new and alternative ideas related to a different way to be a “society”. In these quite depressing years during which arrogance, prevarication, dishonesty, fraud and corruption seem to be to only tools to survive, sometimes one may have the impression to be alone and lag behind. I hope that this website can give space to those having something to say, above all (but not only) from the scientific world, and share their positive experiences in order to re-construct models and path of a really civil living-together. Models of alternative economics, different life-styles, constructive and sustainable ties with the environment are thus welcome in this site. The name “Arvalia” has not been casually chosen: it describes the concept of solidarity, tradition, religiosity (Dea Dia) and ties with Nature in a broader sense, This doesn’t mean to refer to spiritualism or asceticism: the focal point of the issue is to reconstruct “linkages” within a society which systematically disrupts any kind of relation and linkage. This implies a strong political, social ,environmental and economic commitment together with the reconstruction of those links between these dimensions and those of arts, culture, tradition, and also innovation and technologies.

Janus: l'inizio

Con questo titolo cerco di dare l'avvio a questa piccola tribuna di scambio di opinioni e visioni per fare emergere nuove idee e spunti per un diverso modo di fare "società". In questi anni piuttosto deprimenti, durante i quali sembra che solo la furbizia, l'arroganza, la prepotenza, la strafottenza possano servire per sopravvivere, talvolta nasce l'impressione di essere soli. Spero quindi che questo blog possa dare voce a tutti coloro che hanno qualcosa da dire, soprattutto dal mondo della ricerca (ma non solo) e delle esperienze positive che possono essere replicate altrove, per ri-costruire modelli e percorsi di convivenza realmente civile. Modelli di "altra economia", di vita di comunità, di nuovi rapporti con la terra, ecc... sono quindi i benvenuti su questo sito. Non a caso ho scelto il nome "Arvalia" che vuole esprimere proprio questo concetto di solidarietà (I Fratelli Arvali), di tradizione, di religiosità (La Dea Dia) e di legame con la Terra nel senso più ampio del termine. Questo non significa però che ci si vuole rifare a forme di spritualismo o ascetismo: il punto focale è quello di ricreare i "legami" all'interno di una società che invece distrugge proprio tutte le forme di "legame". Questo implica quindi un forte impegno politico, sociale, ambientale ed economico nonchè la ricostruzione dei rapporti fra queste dimensioni e quelle dell'arte, della cultura, delle tradizioni ed anche delle tecnologie e delle innovazioni.