giovedì 29 gennaio 2009

Sussidiare l'inerzia


L'industria automobilistica italiana è in attesa di quei 300 milioni di euro necessari al suo salvataggio. Questo intervento sembrerebbe giustificato in primo luogo per tutelare decine di migliaia di posti di lavoro a rischio e la conseguente sorte di altrettante famiglie che potrebbero finire al di sotto del livello di povertà.

Bisogna tuttavia chiedersi: questi sussidi sono uno strumento sufficiente per fare fronte alla contrazione della vendita di automobili? Questi 300 milioni di euro cosa vanno a sussidiare realmente?

E' indubbiamente vero che l'intera industria automobilistica mondiale sta affrontando un momento di crisi particolarmente severo. E' vero poi che tutti i settori produttivi che producono beni di largo consumo sono in crisi: non solo quindi la FIAT. Il caso italiano però presenta delle peculiarità specifiche: basta pensare che la nostra economia e la nostra politica non hanno infatti mai guardato all'innovazione come una priorità. Anche in questo momento di crisi, che dovrebbe stimolare la creatività, l'innovazione e la competitività come strumenti indispensabili alla sopravvivenza delle imprese e dei relativi posti di lavoro, l'innovazione non viene mai chiamata realmente in causa.

Quanta percentuale di questi sussidi è destinata alla ricerca e sviluppo di auto realmente innovative?

Si chiedono sussidi per far sopravvivere l'esistente senza una minima considerazione per il futuro. Si finisce con il finanziare "l'inerzia" e a rimandare la soluzione effettiva dei problemi "quanto prima".

Anche in questo caso si delineano gli effetti nefasti di distorsioni gravi che connotano il nostro mondo produttivo: si invoca il libero mercato per gli altri, ma ci si chiude a testuggine quando le liberalizzazioni possono minacciare posizioni di privilegio, e si impedisce in ogni occasione, con l'alleanza della politica, l’individuazione di percorsi di sviluppo innovativi realmente sostenibili.
Non dobbiamo dimenticare che molte componenti della nostra realtà economica sono ancora drogate e troppo dipendenti dai favori del potente di turno. In troppe imprese non si fa affidamento sulle proprie forze e sulle proprie capacità (e si sa di non poterci contare) perché si spera sempre nella protezione di qualcuno; si riconosce l’importanza del merito e della qualità, ma intanto è meglio essere previdenti con dei contatti giusti per avere un occhio di riguardo e delle spintarelle. Mentre le economie avanzate si fondano sulla “conoscenza” qui si fa ancora affidamento sulle “conoscenze”, non sul “know how” ma sul “know who”. Si cerca sempre poi di privatizzare i profitti e socializzare i costi.

Di tutti questi meccanismi perversi ci arriva in continuazione il conto e come al solito quando si innescano delle spirali recessive sono sempre le fasce più vulnerabili delle nostre comunità che vengono colpite più duramente. Tuttavia la politica, che alimenta questo sistema perverso in economia, continua a tamponare la situazione con provvedimenti di emergenza di breve periodo con scarsa attenzione per i processi di lungo periodo.

L'economia e la politica italiana non hanno ancora compreso che ci troviamo di fronte all’agonia dello sviluppo economico basato sul petrolio: stiamo di fatto assistendo al tramonto di un intero sistema e sembriamo impreparati a rimpiazzarlo adeguatamente. Le possibilità di far emergere forme di economia del futuro sono connesse alla ricerca scientifica e a quelle forze politiche capaci di riconoscere i germi e le potenzialità del cambiamento oggi represso dalle posizioni in difesa dell’economia del petrolio. Una classe politica settecentesca, che ancora ragiona in termini di telai e di ingranaggi e che conosce solo il “know who” invece del “know how”, continuerà a guardare, nonostante le belle dichiarazioni verbali, alla scuola ed alla ricerca come settori non prioritari e come “voci di costo” nei bilanci.

Bisogna evitare che dietro i sussidi salva-imprese si nasconda di fatto la rinuncia e l'incapacità della politica, in nome di un concetto confuso di liberismo, a dare una direzione “democratica” all’economia e alle forze che oggi agiscono al suo interno.

Un periodo di crisi è sempre un momento "provocatorio" perchè ci obbliga ad affrontare problemi e a vincere le spinte inerziali. Per certi versi questa crisi rappresenta anche un'importante occasione di cambiamento politico ed economico. Mai come ora la questione è quindi legata alla scelta fra consentire al "nuovo" di emergere sia in politica che in economia o tirare a campare come sempre sperando, in questa terra di santi, magari in un "miracolo"...



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