venerdì 11 luglio 2008

L’Economia “Fast Food”

Ci sono tanti modi attraverso i quali vengono più o meno lentamente erosi i valori di riferimento delle comunità locali: non c’è solamente la televisione con i suoi quiz milionari, le veline e i notiziari-gossip perché uno degli strumenti più subdoli è certamente la diffusione dell’economia “Fast Food”. Utilizzo questo termine per identificare un certo tipo di filosofia che sottintende a determinate forme e strategie di sviluppo economico che tuttavia possono presentare degli effetti collaterali molto devastanti sotto il profilo culturale ed etico. Il “fast food” infatti si presta bene come esempio poiché da un punto di vista tecnico-ingegneristico costituisce sicuramente un progresso in termini di efficienza rispetto al pasto tradizionale famigliare. Il pasto famigliare non è però una mera operazione tecnica finalizzata al nutrimento ma detiene un suo valore immateriale collegato ad un contesto ovvero (in teoria) l’affermazione dell’unità della famiglia. Lo stesso avviene nel confronto fra un supermercato ed il piccolo negozio di villaggio: nel primo caso abbiamo la massimizzazione della funzione dell’acquisto di beni tout court, nel secondo caso insieme allo shopping esistono anche i rapporti diretti fra chi compra e chi vende, anzi spesso il negozio di alimentari diventa un punto di incontro quotidiano. Allo stesso modo del fast food, molti approcci allo sviluppo (anche locale) è vero che in molti casi si prospettano come un progresso tecnico/tecnologico, un avanzamento cioè rispetto a procedure tradizionali, ma la generalizzazione di tale principio può portare ad un impoverimento della vita quotidiana. La totale predominanza dell’economia del fast food conduce inevitabilmente alla privazione di valore di determinate relazioni umane mentre acquista di valore esclusivamente il possesso, gestione e controllo di merci. In questo modo vengono alterati la natura di una comunità, i suoi rapporti con l’ambiente, i suoi valori di riferimento, ecc… e questo vuole dire ingabbiare lo sviluppo di una comunità in una “prigione concettuale”. Per questo bisogna stare molto attenti quando molti politici e manager parlano di cose come ottimizzazione o efficienza perché in questo modo spesso si butta a mare il valore delle persone e di intere comunità, si spezzano legami interpersonali e quelli con il territorio dove si vive, si dimenticano tradizioni e culture a tutto vantaggio di chi ci vuole trasformarci in meri consumatori/utenti.

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