giovedì 5 giugno 2008

Quando un giardino può curare

Prendo come spunto per nominare questo post, il titolo del libro di Cristina Borghi “Il giardino che cura” (Giunti Editore, 2007) che descrive le modalità attraverso le quali non solo è possibile ricucire le relazioni ormai degradate fra uomo e natura, ma anche come sia possibile inserire l’ecoterapia o l’ortoterapia all’interno della progettazione delle strutture sanitarie. Ormai la capacità di cura degli spazi verdi infatti è ampiamente dimostrata: già la semplice vista di un giardino può contribuire sensibilmente ad alleviare la sofferenza fisica e psicologica di un paziente ricoverato in un ospedale. Inoltre la possibilità di riscoprire il ciclo di vita delle piante, la ri-appropriazione di uno spazio da coltivare e da curare può anche aiutare a gestire le proprie frustrazioni ed ansie. Uno spazio verde ben curato infatti può ridare equilibrio in modo veramente completo perché stimola positivamente tutti i sensi: la vista, con la contemplazione dei colori dei fiori e delle varietà vegetali, l’olfatto, con la riscoperta dei profumi, il tatto, verificando anche toccandole le tante differenze fra le singole piante, l’udito, ascoltando il suono del frusciare delle fronde o dello scorrere dell’acqua. Non dimentichiamoci poi del gusto: se si ha la possibilità di coltivare e curare un piccolo orto, si possono anche assaporare i tanti sapori degli ortaggi e delle piante aromatiche. Un giardino può fare tanto anche per i bambini: uno spazio verde deve essere considerato dai bambini infatti non solo come un “campo di calcio” o come uno spazio dove correre come matti ma come un elemento vivente con cui relazionarsi in modo positivo e costruttivo che deve essere rispettato, curato e percepito come “proprio”. Bisogna insegnare ai bambini ad esempio che anche le piante sono degli esseri viventi e non degli oggetti che possono essere usati e buttati via. Le opportunità di mettere in pratica forme di convivenza sostenibile fra uomini ed ambiente passano inevitabilmente dalla possibilità di "istillare uno spirito" dentro tutte queste questioni e ciò significa coinvolgere in primo luogo i bambini perché essi detengono una sensibilità più spontanea e quasi “magica” verso il mondo mentre gli adulti molto spesso questa sensibilità l’hanno inevitabilmente persa. E’ indispensabile quindi ricostruire una sensibilità verso queste tematiche sostenuta da una "spiritualità", alla base del rapporto fra bambini e natura che in qualche modo possa arricchire certi approcci altrimenti troppo scientificamente freddi o meramente volontaristici (la cultura del documentario televisivo) che spesso si riscontrano anche in iniziative di volontariato molto positive. Tutto questo non deve essere considerato come puro ascetismo astratto. Quante volte ci scontriamo con dei comportamenti quotidiani delle persone comuni connotati dall'apatia, dal cinismo o dal menefreghismo? Se le possibilità di cambiare qualcosa si legano effettivamente alla dimensione "micro", allora è proprio con questi elementi che bisogna fare i conti. La precondizione per costruire, un piccolo passo alla volta, forme di sviluppo alternative realmente sostenibili (da opporre alla cultura dell'edonismo, del consumo sfrenato, dello sfruttamento senza limiti e regole, del "chi se ne frega") si legano inevitabilmente alla capacità di educare le generazioni più giovani ad esempio a riconoscere la natura come un vero e proprio "essere vivente" per insegnare loro l'idea di "rispetto" (verso le piante, gli animali, le altre persone, le altre culture, e anche il rispetto verso i "luoghi" - Anima Loci!). In tal modo si può tentare di restituire ai bambini la loro infanzia che una cultura ipertecnologizzata continua a negare loro, potremo migliorare la nostra salute fisica e mentale e gettare quelle precondizioni per cominciare a curare anche la nostra economia.

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