venerdì 27 febbraio 2009

Musuem or Library? ... Uhmm... Shopping Center!

It is easily verifiable the fact that by now a larger and larger number of people are considering shopping centers as "public spaces" rather than town squares: you only have to go out for a walk around...

This trend is however a clear indicator of some consolidated political, cultural and social tendencies in our communities. We should seriously think about it.

As a contribution for these reflections, I here enclose a summary of a press release from the National Research Council of Italy (CNR) about an interesting congress titled "The historical-social context of cultural goods and knowledge forms. Towards a sociology of cultural goods" during which some interesting results of a survey have been presented.
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Shopping centers are at the top of teens' wishes as places where to spend free time (21.4% of the sample) followed by discos (16,1%), pubs (14%), cinemas (7,4%) and amusement arcades (4,3%). The Gaudì' Sagrada Familia is one of the best known architectural work for the sample of young students among whom actually only 2.3% has a high knowledge of art.

The survey has been carried out by the University of Pisa and it has been presented during a congress organized by the Dept. of Cultural Heritage of the National Research Council of Italy (CNR) and the Institute of Technologies Applied to Cultural Goods of the CNR (Itabc- Cnr) titled "The historical-social context of cultural goods and knowledge forms. Towards a sociology of cultural goods" .

From this survey it emerges that culture remains a niche choice among young students. Many of them prefers to spent time at the gym or in a pub (59,3%) while only 20,7% visits a library once a month, 30% once in three months, 13,8% once in six month, 29 % once a year.

Better news for museums. 40% has visited a local museum at least once and 48,4% from twice to five times. National and international museums have been the destination for 74% of the sampled students.

School is the main stimulus to go and visit museums even if for great national and international museums families have the main initiative (18,7%) followed by "personal interest" (17,7%).

What do remain to students after visiting a museum? Very little. To the sample students some imagines of well known art and monuments have been shown and 80% of them confirmed a scarce or no knowledge about these cultural goods. 17,6% has replied correctly but only 2,3% has denoted an adequate knowledge of art.

The final result is definitively negative highlighting however the critical role of our schools in promoting the study of art through more appropriate learning methods.

giovedì 26 febbraio 2009

Musei e biblioteche? Meglio il centro commerciale...


Il fatto che oramai la gente considera sempre di più “spazio pubblico” solamente e paradossalmente non tanto le piazze quanto i centri commerciali è facilmente verificabile: basta fare due passi in giro. Questa situazione è un importante indicatore delle tendenze politiche, culturali e sociali delle nostre comunità.

A tale proposito, riporto di seguito una nota stampa CNR su un interessante convegno da titolo "Il contesto storico-sociale dei beni culturali e le forme della coscienza. Verso una sociologia dei Beni Culturali” durante il quale sono stati illustrati i risultati di un'interessante indagine.
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Shopping center primo nei desideri dei ragazzi come luogo dove trascorrere il tempo libero, seguito da discoteca, pub, multisala e sala con video giochi. La Sagrada Famiglia di Gaudì è tra le opere più conosciute dagli studenti, tra i quali solo il 2,3% ha una elevata conoscenza delle opere d’arte. Sono alcuni dati di Sociologia del Beni Culturali presentati oggi presso il Consiglio nazionale delle ricerche

Nella ‘pole position’ dei luoghi dove trascorrere il tempo libero il 21,4% dei ragazzi colloca lo shopping center, seguito da discoteca (16,1%), pub (14%), multisala (7,4%) e sala con video giochi ( 4,3%). A dirlo un campione di 483 studenti dei Licei classici e scientifici e di Istituti tecnici, professionali e d’arte scelti in due aree della Toscana con caratteristiche diverse: Cecina, a limitata presenza di patrimonio culturale, e Pisa, città universitaria ricca di monumenti.
L’indagine - effettuata dal gruppo di lavoro sui beni culturali dell’Università di Pisa, coordinato dal prof. Mario Aldo Toscano, Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali - è stata illustrata oggi presso la sede centrale del Consiglio nazionale delle ricerche, nel quadro di un incontro promosso dal Dipartimento patrimonio culturale del Cnr e dall’Istituto per le tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc- Cnr) sul tema: “Il contesto storico-sociale dei beni culturali e le forme della coscienza. Verso una sociologia dei Beni Culturali”. Durante l’incontro è stato presentato il volume, “Introduzione alla sociologia dei Beni Culturali”, edito da Le Lettere di Firenze e curato appunto da M.A. Toscano e da Elena Gremigni.
Dai dati emerge come per i giovani la cultura resti una scelta di nicchia. Più della metà degli intervistati trascorre il tempo libero in piazza, in palestra, in discoteca o al pub (59,3%). Solo il 20,7% visita una biblioteca più volte al mese, il 30% lo ha fatto solo una volta negli ultimi tre mesi, il 13,8% una negli ultimi sei mesi, il 29%, appena una nell’ultimo anno; una sparuta élite, il 5,9%, la frequenta più volte ogni settimana.
La situazione migliora se si passa ai musei. Il 40% ha visitato quelli locali almeno una volta e il 48,4% da due a cinque volte. I musei nazionali e internazionali sono stati invece più volte meta di viaggi da parte del 74% dei ragazzi. Scuola e studio rimangono i principali stimoli a recarsi nei musei, ma per la visita di quelli fuori regione o internazionali intervengono in maniera significativa l’iniziativa delle famiglie (18,7%) e l’interesse personale (17,7%).
Cosa rimane agli studenti dello studio dell’arte e di queste visite? Ben poco. Agli intervistati sono state mostrate alcune immagini di opere e monumenti noti, pubblicati nei manuali scolastici. “Dall’esame dei dati”, spiega il Rapporto, “emerge che l’80,1% possiede una scarsa o nulla conoscenza delle opere d’arte mostrate, il 17,6% ha risposto in modo corretto, ma soltanto il 2,3% degli studenti rivela un’elevata conoscenza, cioè è in grado di identificare almeno metà delle 15 opere proposte scegliendo tra cinque opzioni”.
La Sagrada Famiglia di Antoni Gaudì è tra le opere più riconosciute (66,1%), mentre solo il 39,9% individua la Nike di Samotracia, scambiata da un altro 39,9% per un angelo. Antonio Canova è l’autore di Amore e Psiche solo per 41,6% degli studenti, mentre il 34,2% attribuisce il gruppo marmoreo a Michelangelo. Sorprende che il 30,6% abbia correttamente attribuito una Sfera ad Arnaldo Pomodoro, nonostante l’arte contemporanea sia negletta nei curricula scolastici, mentre solo 29,0% degli studenti ha riconosciuto un dipinto del conterraneo Giovanni Fattori. Passando all’iconografia, i risultati non cambiano molto. La conversione di San Paolo di Caravaggio è stata individuata da poco più di un terzo (35,9%) degli intervistati.
“In presenza di un quadro complessivamente negativo”, sono le conclusioni di questa ricerca, “trova conferma ancora una volta l’importanza dello studio scolastico della storia dell’arte, individuando però metodologie didattiche più efficaci”.
Da notare al riguardo che non sono gli studenti dell’Istituto d’arte e dei licei classici a ottenere i risultati migliori, ma quelli dei licei scientifici, perché l’abbinamento dello studio della storia dell’arte con il disegno tecnico per la durata di tutti e cinque gli anni si rivela più incisivo nell’apprendimento.

mercoledì 25 febbraio 2009

Reflecting on Iceland...

I live in a small rural village in Central Italy and here the great international facts seem far events as they are happening far away in another planet. Nonetheless, thanks also to Internet, in these recent days, my interest is more and more focused on Iceland.

Since recently, Iceland was considered here only as a travel destination, for tourism or for work reasons: it appeared as a paradise where life standards were high and unemployment didn't exist.

What is remaining of this Paradise? Iceland seems today a country of the third world, with an astonishing monetary devaluation, high unemployment levels, a generalized fall in the quality of life.

What is going on? In brief Iceland has become one of the first great victims of the last financial collapse caused also by the strong links between the Iceland banking system and Leheman Brothers. The Iceland banking system, despite a not timely government's intervention, completely imploded for the enormous debt accumulated during the uncontrolled period of economic expansion: the entire economic system is consequently falling down together with the political system.

All this has provoked protests in the streets by the people (the pans and pots riot) forcing the government to resign: today Iceland has a new Prime Minister, Mrs Johanna Siguroardottir, who has the difficult task to deal with the severe crisis and with the negative heavy impacts of the shock therapy suggested by IMF.

Why should we worry about Iceland? There are many lessons emerging from this story.
First of all, it is necessary to think about the fact that a fallout in a prosperous European country is not a theoretical hypotesis, but a real possibility. This possibility is not an event exclusive of South America, but it may happen also here.

We should reflect also about the fragility of a prosperity generated by financial speculations, lack of rules, banks' hyper-capitalism. Ultra-capitalism, political incompetence, too much power delegated to managers and bankers may kill a country and destroy the life of entire communities.

For this reason Iceland appears as a macroscopic example about the severity of the current economic crisis: within this scenario there's no space for improvisation, political incompetence, speculations, private interests and political irresponsibility because the price of it may be extremely high. Economists and politicians have thus a lot to think about also here in Italy: and even common people should reflect on it.

This is the reason why I continue in observing what is going on in Iceland.

I'm not actually interested in economic analises or in political discussions: thanks to internet, I prefer to give space to people of Iceland, to whom I want to express my solidarity, many of them are now living a huge catastrophe.

Just as examples, I suggest these blogs and posts:
Iceland Says
Iceland Eyes
Iceland Banking Crisis
The news from Iceland


.. e io penso all'Islanda


Io vivo in un piccolo Paese dove spesso i grandi fatti di politica internazionale appaiono come eventi lontanissimi, come se accadessero su un altro pianeta. Eppure da un pò di tempo a questa parte, grazie anche alla rete, la mia attenzione va sempre più spesso verso l'Islanda.

Fino a qualche tempo fa si pensava all'Islanda come meta di viaggio, per turismo o magari per lavoro. L'islanda appariva come una specie di paradiso dove gli standard di vita erano altissimi e non esisteva disoccupazione.

Cosa resta oggi di questo paradiso? L'islanda sembra oggi un Paese del terzo mondo, con una svalutazione monetaria a picco verticale, livelli di disoccupazione elevati, crollo generalizzato della qualità della vita.

Che cosa è successo? In pratica l'Islanda è diventata una delle prime vittime eccellenti del crack finanziario dello scorso autunno a causa in particolare dei forti legami che esistevano fra Leheman Brothers e le banche islandesi. Il sistema bancario islandese, nonostante gli interventi forse tardivi del governo, è completamente collassato a causa dell'enorme debito di miliardi di dollari accumulati durante gli anni di espansione incontrollata: il sistema economico è di conseguenza crollato trascinando dietro di sè il sistema politico.

Tutto questo ha provocato un'ondata di contestazioni da parte della gente (la rivolta delle pentole) che ha costretto alla dimissioni il governo: oggi il Paese è guidato dalla signora Johanna Siguroardottir chiamata a far fronte ad una crisi gravissima e alle conseguenze della terapia shock proposta dal FMI.

Perchè preoccuparci della lontana Islanda? Molte sono le lezioni che vengono da questa faccenda.
In primo luogo bisogna cominciare a riflettere sul fatto che il fallimento di un prospero Paese europeo non è un'ipotesi teorica, ma un'evento possibile. queste cose non capitano solo in Sud America, ma possono toccare anche noi.

Bisogna chiedersi poi quanto fragile possa essere una prosperità generata dalla speculazione finanziaria, dall'assenza di regole, da un iper-capitalismo bancario senza scrupoli. L'ultra-capitalismo, l'incompetenza politica, l'eccessivo potere delegato a manager e banchieri possono uccidere un Paese e travolgere la vita di un'intera comunità di persone.

Insomma l'Islanda appare come l'esempio macroscopico di quanto negativa possa esssere la situazione economica internazionale: all'interno di uno scenario così grave non ci può essere posto per l'improvvisazione, per l'incompetenza politica, per le speculazioni di pochi a danno della collettività, per l'irresponsabilità politica perchè il prezzo da pagare può essere veramente molto alto. C'è quindi molto materiale su cui riflettere non solo da parte degli economisti e dei politici, ma anche da parte di tutti noi.

Per questo continuo a seguire cosa sta accadendo in Islanda.

In questa sede non mi interessano le analisi economiche o le discussioni politiche; grazie anche alla rete, credo che sia più importante lasciare spazio alla voce persone, alle quali mi sento personalmente molto vicino, che in questo momento stanno vivendo una vera e propria tragedia.

A titolo di esempio suggerisco questi blogs e questi posts:
Iceland Says
Iceland Eyes
Iceland Banking Crisis
The news from Iceland


lunedì 23 febbraio 2009

Economic Crisis: Italy in better conditions than others?

The recent official declarations according to which Italy is coping with the current economic recession in better ways than other countries have been based upon the presumed better solidity of the italian financial system, less intoxicated by trash bonds and funds

Everyone knowns in Italy that actually the possibilities to better manage this crisis are not linked to banks but rather to the usual "italian paradox".

Everyone has noted in Italy that, while economic crisis is moving forward, the "informal hidden economy" and tax evasion are exploding as well. This moment of severe economic difficulties, is creating the favourable pre-conditions for the growth of those economic relations (above all connected to labour and fiscal issues) eluding institutional norms and regulations in order to avoid the related duties.

Economic crisis and recession are thus rooting informal economy in the italian productive structure exploiting those difficulties firms are facing and the increasing number of unemployed persons disposed to do anything to have a job.

The present trends are evidencing that in Italy there is not a parallel economy producing goods/services secretely introduced into the market at particularly cheap prices: now thereis the case of economic activities regularly and openly living together and interacting with market mechanisms which normally regulate the economic system's functioning. In the past moonlighting and informal economy were mainly linked to certain economic sectors such as agriculture, building or restaurant activities essentially in Southern Italy. Now the phenomenon is growing everywhere in any economic sector.

Paradoxically informal economy may generate some benefits in the short run. For firms these benefits are linked to the possibility to elude fiscal duties, pension contributions, wages' minimum levels, job safety, legal authorizations and permits, and everything is perceived and considered a "constrain". The compete on the market eliminating these costs. These entrepreneurs argue that today this is the sole possibility to keep their firms open.

For workers the only benefit is embedded in the possibility to have a job: it means the possibility to have an income. A job without pension contributions, unions' protections, security, safety and all those rights deriving from a regular job has the sole great value assigned by who has just lost a formal job being also sure about the impossibility to find another regular job. Informal irrugular jobs therefore become an urgent need.

Italy maybe is coping with the current crisis better than other just exploiting the advantages offered by this informal economic world rather than on the reliability of its bank system.

What's the price of it?

Surely great costs for the immediate future caused by severe distorsions in the economic systems, incapability to regularly compete in the international scenario, unbalances in the welfare system, vertical decreases in the quality and quantity of public services for the subtraction of financial resources from fiscal evasion, weakness in workers' rights, etc. It should be considered also that informal irregular economy is a high labour intensive economy with no interest in innovation and environmental protection.

Unfortunately in Italy the choice to support economy thanks to these subterfuges is clear enough: reductions of resources and professional expertises to the organizations devoted to controls, consequent reduction in the quantity and quality of controls implemented, weakening in the legal sanctions with the consequent diffusion of the idea to always get away, progressive weakening in the anti evasion policies, etc.

The issue completely disappeared from the political debate. Of course it is easier in political terms the strategy of "doing nothing" and let people alone in dealing with it rather than to solve problems. This lassez faire is also good in terms of political consesus. The idea is always the same: survive today and charge the costs for the future...

It is urgent to remove those fators acting as incentives for informal irregular economy: above all those factors rendering irregular jobs as a possible option or, in the worst cases, as the only option to survive. This weak surviving in the present surely will create very high costs not only in economic terms but also in terms of erosion of solidarity and social cohesion, the prevailing of the philosophy "think for yourself" and the lack of any scruple.

Crisi: in Italia stiamo meglio di altri?


Le recenti dichiarazioni ufficiali secondo cui l'Italia sta affrontando la crisi e la recessione economica in atto meglio di altri si fonderebbero sulla presunta maggiore solidità del sistema bancario nazionale, meno intossicato da bond e fondi spazzatura. In realtà tutti noi sappiamo che le possibilità di "arrangiarci" meglio durante questa crisi non sono legate alle banche, ma, purtoppo, al solito paradosso italiano.

Tutti abbiamo notato che, con l'avanzare della crisi, sta esplodendo in Italia l'economia sommersa e l'evasione fiscale. In un momento di gravi difficoltà si creano infatti quelle precondizioni favorevoli per l'espansione di tutte quelle relazioni economiche (in particolare quelle connesse al lavoro e fiscali) che sfuggono alle norme e ai meccanismi istituzionali per evitare di sopportarne gli oneri.

Insomma la crisi sta radicando l'economia sommersa nella struttura produttiva facendo leva sulle difficoltà crescenti delle imprese e del numero sempre maggiore di lavoratori disoccupati disposti a qualsiasi cosa pur di avere un lavoro.

A questo punto non si tratta più di un'economia parallela in cui i beni e servizi prodotti vengono venduti "di nascosto" sul mercato a prezzi vantaggiosi: ormai si tratta di attività economiche che convivono e interagiscono regolarmente e palesemente con i meccanismi di mercato che governano il funzionamento del sistema economico. Un tempo il lavoro nero e l'economia sommersa erano legati principalmente ad alcuni settori come l'agricoltura, l'edilizia, la ristorazione soprattutto nel Mezzogiorno. Oggi il fenomeno si sta pericolosamente espandendo ovunque a macchia d'olio.

In effetti il sommerso paradossalmente riesce a produrre dei benefici di breve periodo. Per le imprese i benefici si legano alla possibilità di evadere il fisco, al non pagamento dei contributi, alla mancata osservanza dei minimi salariali, degli obblighi alla sicurezza sul lavoro, delle necessarie autorizzazioni e il rispetto di tutta quella normativa che viene percepita come vincolo.

Per il lavoratore l'unico vantaggio si materializza nella possibilità di avere un lavoro ovvero una fonte di reddito. Un lavoro senza il pagamento dei contributi sociali e l’assenza di una tutela
sindacale, senza una minima garanzia, senza possibilità di carriera professionale e salariale, senza quei diritti che derivano dall’avere un regolare contratto di lavoro: ma è pur sempre un lavoro che ha il suo valore quando se ne è appena perso uno. Il lavoro nero diventa una necessità.

L'Italia si sta arrangiando meglio di altri. facendo leva su questo paradossale mondo sommerso, piuttosto che sull'affidabilità delle banche. Ma a che prezzo? Fondamentalmente con altissimi costi per l'immediato futuro ovvero distorsioni gravi del sistema economico, squilibri nel sistema di previdenza sociale, crollo della quantità e qualità dei servizi pubblci a causa della sottrazione di risorse finanziarie, indebolimento dei diritti dei lavoratori, ecc... Senza contare poi che il sommerso è un settore a forte contenuto di fattore lavoro dove non esiste il minimo interesse per l'innovazione o, meno che mai, per la tutela ambientale.

Che in questo Paese si voglia sostenere l'economia con questi sotterfugi è fin troppo evidente: sottrazione di risorse e capacità professionali alle organizzazioni preposte ai controlli, conseguente riduzione dei controlli, indebolimento del sistema sanzionatorio con la certezza di poterla sempre "fare franca", progressivo depotenziamento della normativa anti-evasione, ecc...

Il problema è completamente scomparso dal dibattito politico. Non si parla più nemmeno dei fannulloni della Pubblica Amministrazione... Ovviamente è più semplice in termini politici non fare nulla e lasciare che la gente si arrangi da sola piuttosto che affrontare i problemi. La filosofia è sempre la solita: tirare a campare oggi e scaricare il conto sul futuro...

Bisognerebbe rimuovere immediatamente tutti quei fattori che rendono l'economia sommersa ed il lavoro nero come un'opzione appetibile o addirittura come l'unica opzione per sopravvivere. La debole sopravvivenza per il presente potrebbe avere costi altissimi per il futuro anche in termini extraeconomici con l'erosione della solidarietà e della coesione sociale, il prevalere della logica "ognuno per conto suo" e l'assenza di qualsiasi scrupolo.


venerdì 20 febbraio 2009

Nuclear or renewable energies?


In the province where I live (central Italy) the relation between energy and sustainability is a very sensitive issue. The energy hub in Montalto di Castro and Civitavecchia (province of Viterbo) is one of the most polluted area in Italy.

The thermo-electrical plant in Montalto di Castro produces 2.815 tons/year nitrogen oxide emissions (the limit is 100 tons/year). The same plant produces 7.920 tons/year suphur oxide emissions (the limit is 150 tons/year).

From the data of Legambiente (environmental association) it emerges that the Montalto di Castro plant highly exceedes the limits also for nickel (437 kg/year instead of the limit of 50kg/year). Negative data result also for water pollution in terms of arsenic, cadmium, chrome, copper and zinc. Other negative data for Btex, "total organic carbon", phenols and phosphorus.

To this it must be added the pollution charge from the Coal Plant in Civitavecchia. This plant, according to Legambiente data, should produce 10.3 million ton of CO2 (like Estonia): this means that this plant is one of the mos polluting energy plant in Italy. This plant should produce 1980 Megawatt with an efficiency of 45%.

On these premises, the present governmental energy choices are based on, which also are directed toward nuclear energy. And about this, Montalto di Castro is involved again.

It is clear enough that within this discussion the concept of sustainability has remained completely taken apart. Also the concept of "energy cost of energy" is unlikely to be clearly understood: this value, not considering the externalities' costs (i.e. pollution), is actually exceeding the energy return as in the case of uranium. Also "clean coal" won't be a sustainable option.

Solar or wind energies show no problems of "energy return" because no energy is required to make the sun shine or the wind blow.

Conversely, in our province the implementation of renewable energies still lag behind. Considering the characteristics of this territory, small energy plants (solar or wind) will be more suitable to satisfy diffused users (small villages, farms, etc.)

Furthermore, it is necessary to definitively support energy saving, reduce energy waste and improve infrastructures and energy efficiency.

A meeting has been organized in Viterbo today to discuss these issues with the title "Alternative or nuclear energy?"

The meeting's programme (in italian) can be downloaded at this link

Nucleare o rinnovabili? Il bivio energetico della Tuscia


Nella Tuscia la questione energetica e la sostenibilità sono temi molto sentiti. Il polo energetico settenrionale di Montalto di Castro e Civitavecchia rappresenta una delle aree più compromesse dal punto di vista ambientale.

La centrale termoelettrica di Montalto di Castro (Vt) fa registrare l'emissione di 2.815 tonnellate/anno di ossidi di azoto (il valore soglia è di 100 tonnellate/anno). Per gli ossidi di zolfo la centrale termoelettrica di Montalto di Castro (Vt) emette 7.920 tonnellate/anno (con il valore soglia di 150 tonnellate/anno).

Dalla campagna di Legambiente "Mal'Aria" emerge che l’impianto di Montalto di Castro supera molto anche il valore soglia per il nichel con 437 chilogrammi/anno (soglia 50 chilogrammi/anno). Infine, anche per le emissioni nelle acque risultano dati inquietanti per quanto riguarda i metalli e i loro composti: arsenico, cadmio, cromo, nichel, rame e zinco. Sul fronte degli altri inquinanti, si fanno distinguere altri composti organici Btex, ‘carbonio organico totale’, fenoli fosforo e azoto.

A questo si deve aggiungere il carico inquinante che sarà generato dalla Centrale a Carbone di Civitavecchia. Secondo i dati Legambiente si tratta di 10.3 milioni di tonnellate di CO2 (emissioni pari a quelle di un Paese come l'Estonia) che rendono questa centrale uno degli impianti a maggior impatto ambientale d'Italia. Questa centrale va a produrre 1980 Megawatt con un rendimento del 45%.

Su questi presupposti si fondano le attuali scelte energetiche nazionali che puntano sull'energia nucleare. In questo senso torna in ballo nuovamente Montalto di Castro.

E' evidente che il concetto di sostenibilità è rimasto completamente tagliato fuori da tutto questo. Non viene nemmeno ancora ben compreso il concetto di "costo energetico per produrre energia" che ormai, senza sommare il costo delle estenralità (come l'inquinamento), supera di gran lunga l' "energy return" come nel caso dell'uranio. Nemmeno il cosiddetto "carbone pulito" rappresenterà mai un'opzione sostenibile.

L'energia solare o eolica non hanno problemi di "energy return" perchè non è necessaria energia per far splendere il sole o per far soffiare il vento.

E' invece ancora molto modesto nella nostra provincia il ricorso alle energie rinnovabili, alle biomasse, al solare. In particolare, viste le caratteristiche della nostra provincia, sarebbe indispensabile ricorrere a micro-centrali (eoliche o solari) di piccola potenza per servire utenze diffuse(per i piccoli paesi, per le aziende agricole ec...).

E' indispensabile procedere con decisione sulla via del risparmio energetico, ridurre gli sprechi e migliorare le infrastrutture distributive e l'efficienza energetica.

Sui temi dello sviluppo energetico alcune associazioni hanno promosso un incontro pubblico di approfondimento che si terrà a Viterbo oggi 20 febbraio a partire dalle ore 17 dal titolo "energie alternative o nucleare?" .

Il programma dell'incontro è visualizzabile a questo link

mercoledì 18 febbraio 2009

Demolishing for rebuilding

The recent news about rampant increases in criminal cases in Italy have evidenced the strong links between urban and social degradation for the people living in the abandoned peripheries.

I don't want to discuss about the severity of these crimes: I rather would like to discuss the fact that, beyond further severity of sanctions and punishments, more policemen and soldiers in the streets, maybe it could be necessary to begin questioning about the quality of life in these peripheries and entire cities.

This aspect, unfortunately, still remain undervalued or ignored in Italy because considered a problem of city planning: the interconnections and the implications with other problematic dimensions are not fully understood yet. The creation of dormitory-peripheries - where squalor rules, the buildings' development has been achieved only through speculations or the lack of adequate plans, with no services, no accessibility (all this aggraveted by large scale building abuses) - has been embedded and embodied in psycho-physical degradation and social exclusion. This condition has also caused in Italy the frequent opposition between city centres and peripheries also translated into a remarkable gap in the quality of life.

The idea of a simple urban re-qualification has been completely unsuccessfull also because urban expansions still continue often with the same dynamics which have determined the degradation in the peripheries built in the past. Always there's no general urban strategies, a global planning, political and administrative responsibilities.

The italian paradox is that the historical, landscape and environmental heritage is easily destroyed while degraded areas or devastated landscapes are very hardly demolished and re-built always hoping in a potential future re-qualification.

Building, environmental, social and psychical degradation go always hand in hand. The complete lack of social services and abandoned public spaces produce only social exclusion and tensions among the weakest social sectors. Also thanks to building abuses, maybe in many italian cities a larger number of houses are now more available: yet finally one can have a roof over the head but at the cost to live in a suburb absolutely not integrated in the city life. These suburbs are not integrated with anything.

Speculators and accomplice politicians and administrators are thus guilty not only to have gained enormous fortunes devastating entire areas and territories, but also the life of thousands people.

It is therefore necessary to demolish in order to reconstruct in the name of the quality of life and energy saving considering the low quality of these buildings and their high energy inefficiency.

Adequate investments are urgent required to demolish and reconstruct degraded areas, to realize adequate public spaces and parks, to support the development of economic activities and infrastructures: all this means investing not only in welfare, quality of life and increases in the buildings' quality, but also in terms of public and private security.


Demolire per Ricostruire


I fatti recenti di cronaca hanno portato in primo piano il forte nesso fra degrado urbano e degrado sociale di chi vive nelle periferie abbandonate delle città.

La gravità dei fatti di cronaca recente non viene messa in discussione: quello che si vuole discutere è che oltre ad una maggiore severità delle pene e delle sanzioni, oltre a dispiegare più poliziotti o soldati nelle strade, oltre a sterilizzare questo o quello, forse bisognerebbe cominciare ad interrogarsi sulla vivibilità delle periferie urbane o di intere città.

Si tratta purtoppo di un aspetto che continua ad essere molto sottovalutato poichè si crede che sia una questione di natura urbanistica e ancora non se ne comprendono pienamente le connessioni e le implicazioni con altre dimensioni problematiche. La realizzazione di periferie dormitorio, zone dove lo squallore domina su tutto, dove lo sviluppo edilizio è avvenuto sulla base della pura speculazione o sull'assenza di un piano progettuale, prive di servizi e senza accessibilità (il tutto aggravato dall'abusivismo), si è impersonificata nel degrado psicofisico e nell'esclusione sociale. Il tutto ha causato quella contrapposizione fra centro storico e periferia che connota tante città italiane che si traduce poi in un forte divario nella qualità della vita.

L'idea di una semplice riqualificazione urbana si è dimostrata fallimentare per il fatto che l'espansione delle città continua ad avvenire con le stesse logiche che hanno determinato il degrado di quelle che ora sono diventate ex periferie. Manca sempre una strategia urbanistica generale, un progetto complessivo, delle responsabilità amministrative.

Il paradosso italiano è che con grande facilità si distrugge il patrimonio storico, paesaggistico ed ambientale e con grande difficoltà si distruggono e si ricostruiscono aree degradate o paesaggi devastati da brutture edilizie nella speranza sempre di poter prima o poi "riqualificare".

Il degrado edilizio, ambientale, sociale e psichico vanno sempre di pari passo. La mancanza di servizi sociali e l'abbandono degli spazi pubblici non possono portare altro che esclusione sociale e tensioni fra le categorie più deboli. A causa anche dell'abusivismo edilizio, oggi forse molte città italiane dispongono di molte case: alla fine si riesce ad avere un tetto sopra la testa ma poi ci si ritrova in quartieri che non sono parte integrante della città. Non sono parte integrante di nulla.

Gli abusivi, gli speculatori, i palazzinari ed i politici consensienti sono quindi colpevoli non solo della devastazione del territorio, ma anche della vita di migliaia di persone.

Bisogna abbattere per ricostruire in nome della qualità della vita ed anche del risparmio energetico vista la scarsa qualità abitativa e l'elevatissima inefficienza energetica di questo tipo di patrimonio immobiliare.

Mettere a disposizione risorse per la demolizione e ricostruzione delle aree degradate, per la realizzazione di spazi pubblici e sociali e per parchi, lo sviluppo di attività economiche ed infrastrutture, appare quindi come una necessità urgente perchè significa investire non solo in benessere, qualità della vita e miglioramento dei livelli qualitativi del patrimonio immobiliare, ma anche in termini di sicurezza.

lunedì 16 febbraio 2009

When things are getting into a bad way...

The relations between Italians and "foreigners" are getting more and more complex. I'm not discussing about statistical data or surveys but about what I'm noticing close to me, here, in the village in central- Italy where I live.

During these last days, many news about crimes made by immigrants or foreigners have gained greater attention in the media. Surely these crimes represent a real and serious problem aggravated by the fact that the number of immigrants in Italy has recently increased in a dramatic way.

Some economic sectors here, as probably in the rest of Italy, show a relevant incidence of foreign workers. Albanians and romanians in constructions; in agriculture immigrants from Nigeria, Sri Lanka, Senegal; Chinese workers in shops and craftsmanship; servants, houseworks, cleanings, old people care mainly women from Russia and Ucraine; wives from Russia, Ucraine, Romania, Cuba, Brasil. Prostitution is a "mare magnum"...

The present economic crisis is producing unemployment, sacking and economic troubles also in a small village like this: above all women are likely to be the first to bear the effects of the crisis. More and more individuals are forced to accept any kind of job: women above all houseworks, cleanings while men in constrution sectors where physical strength and resistance matter more than any CV. But here problems and tensions explode...

This crisis is generating a rampant diffusion of moonlighting and illegal economy; who is facing economic difficulties needs money to survive, he does'nt make any question, he is disposed to do anything. No regular job contracts, no grants, no safety norms at work. But then here's a bad surprise: these jobs are occupied by foreigners working hard for few Euros who never protest because are afraid to lose the illegal job the have hardly obtained.

When the things go well, immigrants are useful because they do those dirty jobs nobody wants to do. But when things go bad, one may discover to compete for that dirty job...

This bitter discovery provoke anger and negative comments: they steal our jobs, many pity them so they have all for free, they live better than us in our homeland...

A critical social conflict interesting low skilled jobs is soaring thanks also the uncontrolled diffusion of moonlighting.

All this denounces our clear inability to cope with these issues: notwithstanding fierce faces and resounding declarations, in Italy there is no political strategies no structures, and even the intention to understand what's is really happening. As usual we prefer to opt fro improvisation hoping that things will go better one day or another also because this is a "poors' war", between powerless people with no importance.

I still remain seriously worried for these crimes caused by foreigners: in the same time I'm also worried (maybe more worried...) about this side-effect from the economic crisis: a widespread poverty and a diffused moonlighting are causing a terrible war for few crumbs falling from the table with a dangerous scapegoat's chase.

In the past, the severe unemployment waves were related to some (even dramatic) "known" forms of social tensions' channeling typical of the XX century: above all there were no immigrants. Today, in the XXI centrury, all this disappeared but now there are many immigrants working in the illegal economy: we are thus going towards unknown phenomena whose implications are unknown as well.

Defending and creating new jobs, fighting illegal economic activities and moonlighting, defending family incomes, are not only an economic or a social issues by now; maybe something more is at stake...

Tira una brutta aria...

Il rapporto fra italiani e "stranieri" diventa sempre più complicato. E non parlo di dati ISTAT o di ricerche, ma di quello che vedo e che sento qui, vicino a me, in un piccolo paese del centro-Italia.

In questi ultimi giorni si sono susseguite tante notizi di cronaca che hanno avuto come protagonisti negativi degli "stranieri". Che questi crimini provocati da queste persone siano avvenuti ed avvengano non lo metto in dubbio: si tratta di un problema serio e reale che oggi ha maggiore risonanza anche perchè è aumentato notevolmente il numero di questi stranieri rispetto ad alcuni anni fa.

Alcuni settori economici qui, come forse nel resto d'Italia, presentano una forte incidenza di lavoratori stranieri. Albanesi e rumeni nell'edilizia; nigeriani, cingalesi, senegalesi, rumeni, polacchi in agricoltura; i cinesi nel commercio e nei laboratori artigiani; russe e ucraine come badanti, cameriere, donne di servizio. La prostituzione poi è un mare magnum...

La crisi economica in corso ha cominciato a produrre licenziamenti e problemi economici seri anche in un piccolo paese come questo: soprattutto le donne cominciano a pagare per prime il conto di questa crisi. Molte persone sono disposte a fare qualsiasi tipo di lavoro soprattutto nel campo delle pulizie domestiche o nell'edilizia dove quello che conta non è il curriculum ma la forza e la resistenza fisica. Ed è qui che sorgono i problemi e le tensioni.

Questa crisi sta provocando l'esplosione incontrollata del "sommerso" e del lavoro nero: chi ha bisogno vuole soldi per campare, non fa troppe questioni ed è disposto a tutto, senza contratto, senza garanzie, senza sicurezza sul lavoro. Ma poi arriva la brutta sorpresa: ci sono gli stranieri che per pochissimi euro lavorano il triplo e non fiatano perchè spesso hanno anche paura.

Ecco allora che cominciano a volare commenti pesanti: ci rubano il lavoro, siccome fanno più pena gli regalano tutto, stanno pure meglio di noi a casa nostra...
Insomma si sta preparando un forte conflitto sociale che interessa il lavorio meno qualificato grazie anche al dilagare totale del lavoro nero.

Tutto questo denuncia chiaramente la nostra impreparazione a gestire questi forti flussi di immigrazione: dietro facce truci e dichiarazioni roboanti in realtà non c'è una strategia politica precisa, non ci sono strutture, non c'è nemmeno l'intenzione di capire quello che sta accadendo... Come al solito si improvvisa e si "tira a campare" sperando che le cose, prima o poi, si aggiustino da sole, anche perchè si tratta di una guerra fra poveri, fra gente senza potere che non conta nulla.

Rimango quindi molto preoccupato per i fatti di criminalità causati da stranieri; nello stesso tempo tuttavia sono altrettanto preoccupato (anzi per certi aspetti lo sono anche di più) per questo pericolossissimo effetto collaterale di questa crisi economica: la povertà che si diffonde e il lavoro nero imperante stanno causando una terribile guerra per le poche briciole che cadono dal tavolo con una pericolosa caccia al capo espiatorio...

Anni fa quando si innescavano gravi ondate di disoccupazione, c'erano delle forme di canalizzazione della tensione sociale tipiche del XX secolo e per certi versi queste forme erano "note": e soprattutto non c'erano gli stranieri. Oggi, nel XXI secolo, tutte questo non c'è più, ma ci sono gli stranieri che lavorano "a nero": andiamo quindi incontro a fenomeni ignoti le cui implicazioni sono altrettanto ignote.

La difesa e creazione di nuovi posti di lavoro, la lotta al sommerso ed al lavoro nero, la tutela del potere di acquisto delle famiglie non è più soltanto una questione di natura economica e sociale; forse in ballo c'è qualcosa di più...


venerdì 13 febbraio 2009

Illegal deforestation and wood trade: a congress in Rome

High wood demand, lack of adequate controls, a general weakness in the related regulations are only few causes of so many cases of illegal deforestation which provoke the sudden disappearing of forests (also here in Italy) and the resulting illegal wood trade.

It is difficult to quantify the real value of these illegal activities also because a forest's value is not only "monetary" but also "immaterial": landscape is devastated, vegetal and animal systems destroyed, local biodiversity lost, incalculable costs caused by potential landslides and erosion as well as by the losing of these "green lungs" which contribute to reduce CO2...

How can we determine the price of a forest, requiring decades to grow? How can we calculate the economic value of a 100 years old oak?

It has been calculated that about 20% of world greenhouse gas emissions are caused by deforestation: this thus confirms that not only an economic issue is at stake...

The problem is actually more diffused as it seems and these crimes often happen very close to us: not only in Amazonia indeed...

It is thus necessary, to defend these green sanctuaries, to identify strict norms and, above all, make them respected. It is also necessary to really declare illegal wood imports from illegal deforestation and forbid the trade of wood resulting from these illegal deforestation activities.

Local communites must be however in the front line to defend their own territory and their forests because apathy, indifference and inertia are the main enemies of sustainable development also at local level.

This critical issue will be debated in Rome (feb. 25th) during a congress titled "Illegal deforestation and wood trade". This is a very important initiative where also the EU proposals for a new regulation of this issue will be presented.

The event's programme and details (in Italian) can be downloaded here.

Disbscamenti illegali e commercio illecito del legno: un convegno a Roma


La forte domanda di legno, la mancanza di controlli adeguati, le debolezza generale della normativa in materia sono solo alcuni dei motivi alla base di tanti, tantissimi, episodi di disboscamento illegale che provocano l'immprovvisa scomparsa dei boschi e delle foreste (anche sulle montagne qui da noi) e del conseguente traffico illecito di legno.

Difficile quantificare il valore di queste attività illegali anche perchè il valore di un bosco non è solo monetario ma è anche "immateriale": il paesaggio è devastato, l'ecosistema vegetale ed animale distrutto, la biodiversità locale perduta. incalcolabili i costi causati da potenziali smottamenti così come la perdita di "polmoni verdi" che contribuiscono a trattenere CO2, ...

Come si fa a dire che un bosco, che impiega decenni per crescere, vale un certo ammontare di euro? Come si fa a quantificare il valore monetario di una quercia secolare?

Se si pensa che circa il 20% delle emissioni mondiali di gas serra sono dovute al disboscamento illegale, allora si comprende come la questione non è solamente di natura economica.

Il fenomeno è molto più diffuso di quanto non si creda e spesso questi reati avvengono molto vicino a casa nostra: non solo in Amazzonia quindi.

Sarebbe indispensabile, per difendere questi santuari verdi, stabilire delle norme severissime e soprattutto farle rispettare. Bisognerebbe inoltre dichiarare realmente illegale l'importazione di legno proveniente da disboscamenti illeciti e vietare il commercio di legno proveniente da queste forme di disboscamento.

Le comunità locali devono essere comunque in prima fila per difendere il proprio territorio ed i propri boschi perchè l'apatia, l'indifferenza e l'inerzia sono le nemiche principali dello sviluppo sostenibile anche a livello locale.

Di questo cruciale problema si discuterà a Roma il 25 febbraio presso il CNEL in un convegno dal titolo "Il Disboscamento ed il Commercio Illegale del legno". Si tratta di un'importante iniziativa dove verranno inoltre illustrate le proposte di regolamentazione normativa da parte dell'UE.

Il programma e dettagli dell'evento possono essere scaricati qui.

giovedì 12 febbraio 2009

Unbelievable: anti-kabab regulations in Italy...

The local administration in the city of Lucca (Tuscany Region) has recently approved a new regulation which includes the prohibition of "ethnic and kabab restaurants' opening" in the city centre.

The Italian Minister of Agriculture has expressed his personal appreciation for the initiative of the city of Lucca, in the name of the defending of the italian tipical agrofood productions and italian cuisine.

The introduction of this regulation has caused many protests in Italy and abroad, among which those from the British newspapers "Times" and "The Guardian", pushing the Major of Lucca to declare that this regulation will be partly modified even if confirming that "new kabab and fast food restaurants won't be opened in the city centre" and the general regualtion's setting won't be modified.

Someone has tried to tone down protest also by declaring that "ethnic restaurants should use local ingredients at least"...

Some local administrators of the Lega Nord Party have stated that prohibiting the opening of ethnic restaurants in the city centres can contribute "to limit the general degradation accompanying the pullulating of these restaurants".

Lombardy Region is likely to be the first italian region ready to follow the Lucca's example. It seems that the Region Council has launched the law proposal to close ethnic restaurant in the region's area.

It is very difficult for me to comment these news. I'm a convinced supporter of local productions, farm shops, typical food and quality. This doesn't mean that chinese or indian or vietnamese cuisine or food are "enemies": I believe that bad quality, with wherever nationality, is the real enemy of our cuisine, our agrofood products and health.

A good chinese or kabab restaurant will be always preferable to a bad pseudo-typical tuscany restaurant or to a bad neapolitan pizzeria. I think the same about street food: even in this case, bad quality and scarce hygiene are the real enemies raher than street food per sè.

It is not enough to verbally declare quality for typical italian products: concrete actions are necessary indeed. Above all efficient and effective controls are necessary towards all the subjects involved in food production and manipulation.

Italian typical products can be efficently protected and promoted, and city centres valorized, only thanks to quality and realibility rather than discriminatory norms and regulations.

Please, be aware not to be cheated and deceived by these nonsense initiatives...

Ci mancavano anche le norme anti-kebab...


L'amministrazione comunale lucchese ha approvato nei giorni scorsi il nuovo regolamento del commercio che prevede il divieto di apertura di ristoranti etnici e kebab nel centro.

Il Ministro per le politiche agricole Zaia ha espresso il suo apprezzamento per l’iniziativa di Lucca, in nome della difesa della tipicità ed italianità delle nostre produzioni alimentari e della nostra cucina.

A seguito dell'introduzione di questo regolamento, sono arrivate una valanga di critiche, tra le quali quelle britanniche del "Times" e del "The Guardian", che hanno indotto il Sindaco di Lucca ad annunciare che il regolamento sugli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande del centro storico sarà in parte modificato dall'amministrazione comunale anche se ha tenuto a confermare che “nuovi kebab o fast food in centro storico non ne arriveranno” e che l’impostazione generale del provvedimento, che vuole evitare la calata della ristorazione veloce dentro le Mura, non verrà comunque modificata.

Si è tentato poi di smorzare i toni affermando che nei "ristoranti entici" si dovrebbero utilizzare materie prime locali.

Amministratori della Lega intanto hanno affermato che vietare l’apertura di ristoranti etnici nei centri storici può servire a contenere il degrado che spesso si accompagna al "pullulare di queste attività".

La Lombardia sembrerebbe la prima regione italiana a seguire il provvedimento di Lucca. La Giunta Regionale pare che abbia lanciato una proposta di legge per chiudere i ristoranti etnici sul territorio lombardo.

E' molto difficile commentare simili misure. Personalmente sono un sostenitore convinto delle produzioni locali, della filiera corta e della qualità. Questo non significa che la cucina cinese o indiana o vietnamita sia un nemico: penso che la pessima qualità, di qualsiasi nazionalità, sia il vero nemico della nostra cucina, delle nostre produzioni agroalimentari e della nostra salute.

Un buon ristorante cinese sarà sempre preferibile ad una pessima pseudo-trattoria tipica toscana o ad una pessima pizzeria napoletana. Lo stesso vale per il cibo da strada: anche in questo caso la pessima qualità o la scarsa igiene sono i veri nemici e non il cibo da strada di per sè.

Non basta dichiarare a parole la qualità o la tipicità o l'italianità: ci vogliono i fatti. E soprattutto ci vogliono controlli efficienti ed efficaci che devono riguardare tutti: abbiamo fin troppe notizie sulla contraffazione di tante produzioni nostrane...

Non è di certo quindi con norme discriminatorie, ma con la qualità e la serietà che si difende la tipicità dei nostri prodotti, che si valorizzano i prodotti locali o si rivitalizzano i centri storici.

Per favore, cerchiamo di non farci abbindolare da queste sciocchezze...

mercoledì 11 febbraio 2009

... and now rest in peace.

I have paid great attention, as many others in Italy, to the news about Eluana Englaro's case. I don't want to discuss the pro and against of the issue but I cannot be silent about the squalid spectacle Italy has given on the dramatic experience of a family.

Nobody has cited the dramatic condition of this family, the feelings of a mother and a father dealing with a similar agony and death. Everyone is talking about technical law problems and God's will...

I personally want to denounce the obsessive, irrational, sectarian and superstitious morbidity as well as the complete lack of humanity, rationale and respect with which italian politicians, media and the catholic church have dealt (and are still dealing) with this issue.

It is rather surprising the inability, incapability and immaturity which have emerged when debating and dealing with this case as well as in any other ethic issue.

A weak and doubled morale political class and a medieval church together with too many social sectors ready to shake pitchforks and rakes and put up scaffolds and gallows are trying to push us again in the dark age of counter-reformation and witch hunt...

... adesso riposa in pace.

Ho seguito come tutti, la vicenda di Eluana Englaro. Non voglio entrare nel merito della questione, ma non posso tacere sullo squallido spettacolo che questo Paese ha dato di fronte al dramma di una famiglia.

Nessuno ha mai fatto riferimento al dramma di una famiglia, a quello che può provare una madre ed un padre di fronte ad una simile agonia e a questa morte. Si è discusso invece dei massimi sistemi e della volontà di Dio...

Voglio personalmente denunciare la morbosità ossessiva, irrazionale, strumentale, faziosa e superstiziosa nonchè la totale mancanza di umanità, lucidità e di rispetto con la quale la politica italiana, i mass media e la chiesa cattolica hanno affrontato e stanno affrontando questa questione.

Quello che sorprende infatti in tutta la vicenda è l'incapacità e la immaturità dimostrata nel discutere e nell'affrontare una simile questione così come altro ogni tema etico.

Una classe politica debole e dalla doppia morale, una chiesa medievale e troppe componenti della società italiana pronte ad agitare i forconi ed ad issare patiboli stanno tentando di trascinarci nuovamente nei secoli bui della controriforma e della caccia alle streghe...

lunedì 9 febbraio 2009

Damned Beefsteak!

According to FAO, meat production should double in 2030.



These forecast data are quite upsetting: the link between increases in meat consumption, fodder, increases in cereal prices is really very strong. Furthermore, to this chain, it has to be summed up the growth in oil prices and the problem of global warming.



To feed animals destined to meat production about 40% of cultivated land and huge amounts of oil are used: according to the 2006 FAO report “Livestock’s Long Shadow: Environmental Issues and Options” it emerges that in 2002 about 670 millions tons of cereals (about one third of world production) have become fodder. An increasing number of areas are used for cereals destined to animal feeding while the land destined to human nutrition is continuosly reducing with remarkable implications in food price trends.



Bovine breeding has become the second cause of global warming. Livestock (according to FAO data) is producing the 18% of greenhouse gas emissions; in particular, cows are producing 9% in total CO2. Livestock produces 37% of total methane generated by human activities. It has been estimated that to produce 1/2kg of meat is necessary the equivalent of 4l of fuel: thus 1000l of fuel are required - with 2.5 tons of CO2 released (about the same emission of a mid-range car in six months) - to sustain the average meat consumption for a family composed of 4 persons.


To feed a little privileged part of world population, having clear problems of obesity, wider social sectors in developing countries are pushed to poverty and even in the same developed countries poverty levels are increasing. In the same time this obesity economics is heavily contributing to the environmental degradation for the entire planet.

A reduction in meat consumption thus represents an important step everyone can do; everyone can provide a contribution to re-direct, through aware and healthier consumption styles, organic agriculture and livestock production and local products (as effective and efficient reply to the present economic and environmental crisis), economic development toward really sustainable development strategies.

Maledetta Bistecca!!!

Secondo la FAO, la produzione di carne dovrebbe raddoppiare nel 2030.


Questa previsione dovrebbe farci riflettere: il nesso fra aumento nei consumi di carne, mangimi, impennata nel prezzo dei cereali è molto forte. A questa catena bisogna aggiungere poi l’aumento nel prezzo dei combustibili ed il problema del riscaldamento globale.


Per sfamare gli animali destinati alla produzione della carne viene infatti destinato circa il 40% delle terre coltivabili ed ingenti quantità di combustibile fossile: dal rapporto del 2006 della FAO “Livestock’s Long Shadow: Environmental Issues and Options” emerge che già nel 2002 circa 670 milioni di tonnellate di cereali (pari ad un terzo della produzione mondiale) sono divenute mangimi per gli animali. Sempre più terreni vengono utilizzati per coltivare cereali destinati all’alimentazione animale mentre sempre meno sono quelli da destinare all’alimentazione umana con pesanti ripercussioni quindi sull’andamento dei prezzi dei prodotti alimentari.


L’allevamento dei bovini da carne è divenuto inoltre la seconda causa del global warming. Il bestiame (dati FAO) produce infatti il 18% delle emissioni di gas serra; in particolare i bovini sono la causa del 9% nella produzione di anidride carbonica ed inoltre il bestiame emette il 37% di tutto il metano prodotto da attività umane. E’ stato calcolato che per produrre mezzo chilo di carne serve l’equivalente di 4 litri di benzina e quindi per sostenere i consumi medi annui di una famiglia di 4 persone occorrono circa 1000 litri di benzina con un rilascio nell’atmosfera di 2,5 tonnellate di anidride carbonica (circa il quantitativo di emissioni di un’auto di media cilindrata in sei mesi di utilizzo).


Insomma per nutrire una piccola parte privilegiata della popolazione mondiale in evidente sovrappeso si stanno spingendo alla fame settori sempre più ampi di persone dei PVS, con un aumento nei livelli della povertà anche fra i cittadini nelle cosiddette economie avanzate, e si sta contribuendo pesantemente al degrado ambientale dell’intero pianeta.


Una riduzione nei consumi della carne rappresenta un passo importante che tutti noi possiamo fare: tutti possono dare il proprio contributo ad indirizzare, con stili di consumo intelligenti e con scelte alimentari più sane e consapevoli, il passaggio verso strategie di sviluppo economico complessivo realmente sostenibili e verso l’agricoltura biologica ed i prodotti locali come risposta efficace per affrontare in modo concreto la crisi alimentare ed il cambiamento climatico.

giovedì 5 febbraio 2009

Supporting Social Agriculture

Social Farms are a kind of farms where agricultural and livestock activities are accompanied by cultural, educational, care, health, training services directed to disadvantaged people (disabled persons, mental disabled persons, drug addicts, prisoners or former prisoners, elderly or young people at risk of social exclusion, etc.). This kind of farms provide therapeutic and rehabilitating actions, job training and social re-integration for these persons thanks to the promotion of agricultural and environmental resources.

Social agriculture is thus an important expression of the links between ethics and agriculture involving a valorisation of agricultural products often directly sold in farm shops and through the creation of purchaising support networks. Social farms provide a critical contribution to the processes of local rural development because they translates development strategies, not only in economic terms, into a concept of rurality based on real ethical principles; solidarity, social welfare, environmental responsibility.

Social farms still have in Italy scarce visibility both in communication terms and in terms of space of their products in shops' and supermarket shelf. In Italy social agriculture is still considered a niche sector.

Nonetheless, in Italy there are about 2000 social farms (above all cooperatives) about which 70% devoted to organic productions. These farms are placed mainly in Emilia Romagna (15%), Tuscany and Lazio (14%), Veneto (11%), Lombardia (9%), Piemonte and Sicily (8%), Umbria (6%). In southern Italy there are important experiences such as the cooperatives Libera Terra, created on the land confiscated to Mafia. Another important experience come from Siracuse in Sicily where the cooperative Arcolaio, composed of prisoners and former prisoners, produces organic cakes.

It is clear that social farms cannot survive thanks only to subsidies but they must be economically efficent: for this reason it is necessary to create and develop a real "market of social services" where these farms will be able to compete with other firms. Local development strategies have to keep into consideration this essential social context's component of rural areas also removing the obstacles created by ossified interests. It could be useful for example to offer to these farms those hectars of abandoned land, often owned by public entities, or stimulate the creation of these cooperatives (possibily composed of young farmers) or facilitate the distribution of social farms' products.

For further info about the network of social farms in Italy visit this website.

Sostenere le Fattorie Sociali


Le fattorie sociali sono imprese agricole che svolgono attività produttive agricole e zootecniche parallelamente allo svolgimento di servizi culturali, educativi, assistenziali, formativi e occupazionali rivolti a soggetti svantaggiati (disabili motori e psichici, tossicodipendenti, detenuti e ex detenuti, anziani, giovani a rischio di esclusione). Questo tipo di fattorie realizzano percorsi terapeutici e riabilitativi, formazione professionale, reinserimento nel mondo del lavoro e integrazione sociale di persone svantaggiate mediante la valorizzazione delle risorse agricole e ambientali. Si tratta di un’importante espressione del rapporto fra etica e agricoltura che prevede una valorizzazione commerciale dei prodotti spesso tramite la vendita diretta in azienda ma anche con la creazione di gruppi di acquisto solidale. Le fattorie sociali forniscono un contributo prezioso ai processi di sviluppo rurale locale poiché esse esprimono una forma non solo economica dello sviluppo ma incarnano un concetto di ruralità fondato su principi etici reali: solidarietà, benessere sociale, responsabilità nei confronti delle risorse naturali. La Politica Agricola Comunitaria (PAC) favorisce tutte quelle forme di gestione rurale che si legano al principio di multifunzionalità cioè integrazione della produzione primaria con attività connesse alla gestione del paesaggio, qualità ambientale, turismo, iniziative didattico-educative legate alla formazione, alla promozione delle tradizioni e della cultura locale e azioni terapeutiche e riabilitative.

Le fattorie sociali godono in Italia di ancora troppo poca visibilità sia in termini comunicativi che di spazio dei loro prodotti negli scaffali dei negozi e dei supermercati. Ancor oggi si continua a guardare all'agricoltura sociale come ad un fenomeno di nicchia.

Eppure si stima che in Italia operino circa 2000 fattorie sociali (principalmente cooperative) di cui almeno il 70% si rivolge alla produzione biologica. Secondo l'AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) le fattorie sociali in Italia sono principalmente distribuite in Emilia Romagna (15%), Toscana e Lazio (14%), Veneto con l'11%, Lombardia (9%), Piemonte e la Sicilia (8%), Umbria (6%). Nelle regioni meridionali l'esperienza più significativa è rappresentata dalle cooperative di Libera Terra, sorte sui terreni confiscati alla mafia. Importante anche l'esperienza della cooperativa l'Arcolaio, che produce dolci biologici da parte dei detenuti o ex detenuti della casa circondariale di Siracusa.



E' evidente che le fattorie sociali come tutte le imprese non possono vivere di assistenzialismo e di contributi, ma devono dimostrarsi socialmente e economicamente sostenibili; per questo motivo è necessario sviluppare un “mercato del sociale” ove queste fattorie possano essere in competizione con le altre imprese all’interno di un contesto sociale ricettivo. Servono quindi le condizioni affinché le strategie dello sviluppo locale tengano conto di questa componente rilevante del paesaggio sociale delle nostre campagne anche rimuovendo gli ostacoli creati da interessi ossificati di chi già opera nel campo dell’assistenza socio-sanitaria. Ad esempio sarebbe utile mettere a disposizione di queste imprese tutti quegli ettari di terreno, spesso afferenti a soggetti pubblici, che rimangono non utilizzati, stimolare la costituzione di queste cooperative (possibilmente di giovani), o agevolare la commercializzazione dei prodotti delle fattorie sociali.


Per ulteriori informazioni sulla rete delle fattorie sociali in Italia è possibile consultare questo sito dove è possibile reperire anche importanti informazioni sulle relative misure dei PSR o su come costituire una fattoria sociale.

martedì 3 febbraio 2009

Come si lavora al CNR?


L'Usi/Rdb Ricerca ha recentemente pubblicato i risultati di un'indagine condotta all'interno del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) per verificarne e valutarne le condizioni di lavoro complessive ed il grado di soddisfazione del personale di ricerca, tecnico ed amministrativo.

Certamente si tratta di un'indagine i cui risultati possono dare adito ad opinioni e considerazioni diverse: i punti di vista sulla realtà del CNR possono essere abbastanza variegati e differenziati. Certo però che questo rapporto, da cui viene fuori un quadro non proprio rassicurante, rappresenta comunque un momento utile di riflessione su quanto avviene all'interno del più grande ente di ricerca italiano ed inoltre un termometro sugli umori del mondo della nostra ricerca scientifica sempre più spinta al margine della nostra società.

Il rapporto è visualizzabile su questo link.