giovedì 29 aprile 2010

Una società alla deriva, anche nel linguaggio

La miseria di una collettività si può misurare in tanti modi che spesso prescindono dalla ricchezza economica privata (talvolta esibita ma non effettivamente posseduta) di alcuni dei suoi componenti.

Il prevalere dell'individualismo sfrenato, del cinismo, dell'arroganza sono sicuramente degli indicatori importanti: l'incapacità di "operare insieme" con il prevalere delle forze della competizione su quelle della cooperazione è uno dei fattori che spesso erodono le capacità di una comunità di fare fronte in modo efficace anche alle sue esigenze più elementari. In questo caso ci si affida sempre ad un soggetto che "dall'alto" deve provvedere: lo Stato, la Regione, il Comune. Questi enti alla fine diventano dispensatori di servizi e di favori quando invece bisognerebbe imparare a "fare da sè" e diventare i politici di sè stessi.

Io stesso sono frequentemente testimone di un gran numero di esperienze scoraggianti il cui messaggio finale potrebbe essere: meglio lasciare perdere perchè non c'è nulla da fare. Eppure, grazie alla mia infinita ingenuità, confido sempre nel miracolo... Mettere insieme delle persone nell'ottica della "convivialità" (a meno che non si parli di calcio o di donne) è diventata comunque un'impresa al limite dell'impossibile...

Insomma ci troviamo di fronte a quella che nella letteratura scientifica si chiama "the Tragedy of the Commons" ovvero ognuno va per conto suo ottenendo un piccolo vantaggio personale a scapito di un maggiore vantaggio che si potrebbe ottenere per tutti con un'azione collettiva.

Questo squallore sociale si trasmette su tutti i livelli tra i quali anche quelo del linguaggio come evidenziato da un interessante libro di Antonio Pascale la cui presentazione può essere letta su questo link.

Nessun commento: