lunedì 10 settembre 2012

Il mestiere del prete

Sono queste di settembre delle serate bellissime. Non fa troppo caldo, si sta bene ed è un piacere chiacchierare sotto un ulivo con qualche amico, una bottiglia di vino, un'arietta che stimola la conversazione. Ed è proprio durante queste serate di settembre e le relative chiacchierate sotto l'ulivo che vengono fuori idee, riflessioni considerazioni avolte sciocche, a volte banali altre volte più serie e paradossali.

Si discuteva, durante una di queste recenti chiacchierate, della totale assenza in Italia di opportunità per i giovani, di lavoro, di prospettive: non solo non si riesce a lavorare, ma non è possibile nemmeno far valere i talenti e le capacità individuali. La distruzione della scuola, dell'università e della ricerca scientifica, la presenza di una classe politica corrotta, senza scrupoli e capacità cognitive-intellettive hanno creato un deserto esitenziale: a questo deserto la prima reazione proponibile è la fuga. Andare via dall'Italia è la strada oggi più semplice non solo per trovare un lavoro, ma anche per avere quella considerazione e quelle possibilità di dimostrare quello di cui si è capaci. 

Ebbene, viene da pensare che questo totale deserto di opportunità possa, in un modo o nell'altro, renderedi nuovo appetibile il lavoro del prete. Vuoi vedere che, perdurando la crisi assoluta e senza speranza in cui versa l'Italia, la carriera ecclesiastica possa diventare un'opzione percorribile? C'è da attendersi allora nel prossimo futuro un boom di vocazioni "Made in Italy"?

Giovani d'Italia, non trovate lavoro? Perchè non fare il prete o la suora?

Insomma, questa classe politica da due soldi ci potrebbe mandare indietro nel tempo di almeno quattro secoli quando nelle famiglie si spedivano i figli nelle varie direzioni lavorative (tu studi, tu hai la terra, tu fai il soldato, tu vai in seminario e diventi prete/suora). Similarmente questa medesima squallidata umanità che dice di occuparsi di politica sta trasformando l'Italia come uno di quei Paesi del Sud del mondo che attualmente forniscono le braccia e le teste alla chiesa cattolica per sopravvivere alla fame, alla miseria, alla mancanza di alternative. 

Bisognerebbe sviluppare un "vocation index" per tenere sotto controllo qeusti eventuali trend correlando miseria, povertà, disoccupazione e crescita delle vocazioni. Ci debbo pensare e farlo prima o poi.

Fare il parroco vuol dire aver un buon lavoro, un tetto sulla testa, un piatto di minestra tutti i giorni. Se ti dice male finisci in qualche borgata in mezzo ai tossici, ma come diceva Don Abbondio (una figura che potrebbe tornare in auge molto presto) "uno il coraggio mica se lo può dare" e glissi. Se si è più fortunati magari ti può toccare una bella parrocchia in campagna: aria buona, buona qualità della vita, diventi insomma uno "Slow Priest".

Per quanto riguarda il sesso, mi pare di capire che alla fine non è proprio un gran problema: come del resto non lo è mai stato in passato.

Certamente quello di cui parlo è un paradosso, ma pensandoci bene alla fin fine mica tanto: visto che quella militare è inflazionata come tutte le altre, la carriera ecclesiastica (in perenne carenza di vocazioni italiane) si presenta come una possibilità: visto poi il profilo non proprio esemplare dei vertici vaticani, si evince chiaramente che la fede se c'è è meglio, ma se non c'è non importa. I più scaltri, fortunati e smaliziati possono anche sperare di scalare le vette vaticane cosa che vuol dire potere, lusso, scarso impegno. 

Eppoi, hai visto mai, c'è anche il rischio di diventare il capo di tutta la baracca...

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