mercoledì 18 luglio 2018

Tutto è "sagra"

Un tempo, nemmeno molto tempo fa, le sagre erano uno strumento che i paesi della cosiddetta Italia minore utilizzavano per promuovere sè stessi tramite la valorizzazione di uno specifico prodotto del proprio territorio: in breve erano un'occasione per farsi notare e farsi conoscere. Si trattava di pochi e ben definiti eventi focalizzati su prodotti che avevano un certo grado di tipicità come caratteristica ben specifica ed identificabile di un determinato borgo. Era quindi un'occasione di festa sincera e verace.

Oggi il numero e la tipologia delle sagre si è dilatato a dismisura. Ogni weekend (a partire dalla primavera fino ad autunno inoltrato) presenta un numero disarmante di sagre di qualsiasi cosa che si svolgono contemporaneamente in pratica ovunque, financo nei quartieri delle cittadine più grandi. Tutti i paesi, paesini e frazioni si gettano nella disperata caccia all'uomo per accaparrarsi fino all'ultimo turista disponibile in circolazione. Esiste poi la viariante delle varie notti bianche, verdi, marroni, ocra, beige, blu di prussia che alla fine sono solo delle sagre.

Qualsiasi parte più o meno commestibile di un numero sempre maggiore di animali diventa oggetto di una sagra. Qualsiasi espressione anche vaga di un dolce o dolcetto diventa oggetto di una sagra: dalla terrificante ed anonima "ciambella all'anice" o il secchissimo tozzetto fino a dolci anche più complessi (crostata, bignè), ma sempre connotati da banalità (devono essere economici e facili da realizzare al volo). Non mancano poi le sagre dei vari tipi di pasta o tortellino dove a farla da re è certamente quella specie di lombrichello (spaghettone di acqua e farina, abbastanza pesante e anonimo pure lui) che è fatto ovunque in Italia ma diventa una specialità locale solo perchè il suo nome cambia dopo poche decine di metri fra un borgo e l'altro.

Ci sono poi le sagre di pesce in cima alle montagne (gettonatissimo il baccalà o il pesce spada d'alta quota) o arrosti di carne in riva al mare (ormai sovrano è il cinghiale che praticamente convive tranquillamente con gran parte della popolazione non urbana italiana). Esistono poi sagre di roba da mangiare palesemente inventata o di cose banalissime che si potrebbero mangiare tranquillamente a casa propria (ad esempio le migliaia di frequentatissime sagre della bruschetta, del pane e nutella o della salsiccia tutte cose che francamente non riesco a spiegarmi...)

Tutte le sagre sono sempre prese d'assalto da torme di persone che sembrano non aver mangiato da tempo immemorabile perchè alle sagre "se magna bbbene" e ci si va solo per magnare inseguendo l'illusione puerile di un'idea di genuinità immaginaria introvabile nemmeno nei romanzi più fantascientifici di Asimov. 

Ci si sottopone sadicamente a viaggi di parecchi chilometri per raggiungere la sagre di qualsiasi cosa in uno di questi paesini: l'ultimo tratto di strada è sempre caratterizzato da un mare di curve e bivi privi di segnaletica e le auto vengono solitamente abbandonate lontanissimo, in fila  lungo il ciglio di strade improbabili. Al tuo ritorno, a sagra esaurita dopo aver camminato chilometri al buio, è tua e solo tua l'auto che rimane da sola sul ciglio della strada in mezzo alla campagna, perchè tutti sono andati via prima di te, triste monumento dell'abbandono e della desolazione.

Le sagre sono frequentemente un gran caos: la folla affamata, che a causa di un appettito inesprimibile dimentica rapidamente anche le più elementari norme dell'educazione e della convivenza civile, mette quasi sempre in ginocchio anche la più perfetta macchina organizzativa della più effciente pro loco. Non si sa mai dove andare, dove prendere il bigliettino, dove prendere i primi, dove prendere le bevande, dove pagare... le file saltano, i più esperti ed allenati ti passano regolarmente avanti, quello che hai ordinato è esaurito e devi aspettare almeno tre quarti d'ora prima di poter mangiare, non sai dove sederti... A causa della ressa e della scarsità dei posti sulle tavolate, le famiglie vengono divise e si finisce gomito a gomito (fiato a fiato) con un esercito di estranei talvolta smarriti come te, ma più spesso molto smaliziati, caciaroni, invadenti...  Questo perchè esiste il frequentatore abituale di sagre, che la sa sempre lunga e sa sempre come fare. Tu no: e rimani l'imbecille con il vassoio in mano che non sa dove andare....

La sagra è poi allietata da musica in piazza (non sempre di valore eccelso: ma chi vuoi che ci faccia caso?) o dalla banda del paese (importante momento di aggregazione della comunità locale senza dubbio) che fra mille stonature diffonde un'aura pesantissima di malinconia e mestizia infinita storpiando in modo sistematico brani arcinoti di musica classica di cui piano piano si perde memoria. Dopo la banda del paese rimarrebbe solo il suicidio: e invece no. In conclusione: i fuochi d'artificio! Sono il modo migliore, secondo l'opinione dello scrivente, per buttare dei soldi in fumo, nel vero senso della parola. Ma è possibile che nel XXI secolo, con Internet, i social network, i film con degli effetti speciali allucinanti, i videogames che hanno raggiunto livelli di grafica impressionante, e via discorrendo, ci sia ancora qualcuno che rimanga stupefatto di fronte a questi "specchietti colorati"? Posso capire che avessero un certo seguito nel XVIII o nel XIX secolo quando non c'era nulla, ma adesso i fuochi d'artificio mi sembrano veramente "datati"...  Chiedere un parere a riguardo a un qualsiasi esponente dei millennials.

Immancabili poi i carabinieri o i vigili urbani fuori dal paese a fare i controlli soprattutto a conclusione delle sagre del vino: un classico. Multe salate, patenti ritirate.

La sagra diventa quindi un rito collettivo di degradazione umana: si spende alla fin fine non poco per mangiare male dei cibi tutto sommato banalissimi..., si sta scomodi, si torna a casa gobbi, in compagnia forzata di gente con cui non staremmo mai (nemmeno sotto tortura), se ne esce distrutti, nel fisico e nello spirito. Eppure: ma quanto ci siamo divertiti?!?!?

Mentre quindi la società italiana da un lato si de-sacralizza, dall'altro si sagralizza.

La proliferazione delle sagre è un sintomo della povertà interiore di questi nostri anni? Forse, dato che la loro diffusione endemica a macchia d'olio sembra andare di pari passo con il progressivo decadere dei festival culturali (che tendono anche loro alla fine a diventare delle sagre mangerecce dove deve essere garantito primariamente il diritto sacrosanto all'alimentazione). La stessa decadenza sembra colpire anche altre manifestazioni tradizionali del folclore popolare. Sembrerebbe che alla gente non gliene importi nulla (o comunque importi sempre meno) di rassegne letterarie o cinematografiche o delle processioni o dei presepi: si deve da magnà! Del borgo che ospita la sagra alla gente smbra che importi anche meno perchè al limite diventa oggetto di una rapidissima passeggiatina perchè "ci siamo fatti un mare di curve per magnà non per andà a vedè delle chiese!"

La sagra è anche una rappresentazione grottesca della politica dei nostri giorni? Forse: la ciaciara c'è, il magna-magna pure, il menefreghismo non manca, la cultura latita, ....

Beninteso: io non ho nulla contro queste manifestazioni di cultura popolare.  Qualche volta ci vado e mi ci diverto pure. Mi sembra però che le sagre paesane stiano assumendo i caratteri di una vera e propria patologia sociale. Ovviamente nessuno è obbligato a frequentare le sagre della fettuccina o del cervello d'agnello o del pescegatto panato: ed è altrettanto giusto che ci siano persone che approfittano di questi appuntamenti per fare una gita e lasciare magari il caos della città.

Quello che mi lascia perplesso è che troppi comuni (piccoli comuni) ci stiano puntando tutto senza considerare che, senza un coordinamento magari fra paesi limitrofi, questo turismo mordi e fuggi (è proprio il caso di dirlo) apporta pochi benefici ai nostri borghi.  Troppi eventi scoordinati che si sovrappongono con duplicazioni varie portano molti Comuni a farsi una concorrenza spietata senza senso. 

Insomma, finita la sagra e tirati su i quantali di monnezza lasciati in giro, questi paesi tornano nel dimenticatoio da dove sono venuti. La sagra di per sè non apporta benefici durevoli se non forse per le pro loco che diventano quindi un notevole snodo del potere locale.Ma questo è un capitolo a parte.

E' vero che la gente ormai si muove solo per magnà e che del resto non gliene frega assolutamente nulla, ma forse bisognerebbe ritornare a proporre delle alternative: qualcosa a minor tasso di caciara, alcool, carboidrati, trigliceridi e colesterolo, ma capace di stimolare la curiosità e l'interesse per il vero patrimonio locale di un borgo. Forse all'inizio si tratterebbe di manifestazioni di nicchia ma certamente attribuirebbero molto più prestigio ad un Comune che le ospita rispetto alle salsicce o agli gnocchi. In fondo non siamo delle capre che si agitano solo per soddisfare i propri bisogni alimentari primari: siamo qualcosa di più e di meglio. E per questo forse meriteremmo di essere considerati con un po' più di rispetto.  

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