Premetto che non sono un esperto in nulla. Anzi, per essere onesti, sono il tipico esempio di persona che i grandi uomini e le grandi donne navigate delle politica nostrana (anche di piccolo cabotaggio) definirebbero senza mezzi termini "uno che non capisce niente".
Sono quindi "uno che non capisce niente" e, secondo il metro di valutazione e giudizio di questi esperti di politica, gli esperti dell'economia ed i vari serissimi personaggi che pontificano su questo e su quello, "non sarò mai in grado di capire niente" di come funzionano certe cose e di come vanno certe faccende.
Eppure tutta questa storia dell'art. 18 mi lascia molto perplesso. Non voglio entrare nel merito di questioni tecniche o sindacali, di cui effettivamente non capisco niente. Tuttavia quello che noto da alcuni anni a questa parte, ed in questi ultimi mesi in particolare, è un certo accanimento nei confronti della cosiddetta flessibilità. Il termine flessibilità in tutto il mondo ha un certo significato (agilità, snellezza, semplificazione), che investe il mondo del lavoro nei due sensi: in entrata ed in uscita. Qui da noi in Italia è solo una trappola, è solo una fregatura. Questo perchè tutti gli sforzi governativi più o meno recenti hanno mirato ad aumentare la flessibilità tuttavia facilitando sempre le modalità di licenziamento. Insomma è una flessibilità a senso unico: solo in uscita. Si facilita il licenziamento dei lavoratori, ma non si fa nulla per facilitare le assunzioni (anzi...)
Quella briciola di buon senso che ancora (per poco) mi pervade mi fa sempre pensare che, prima di preoccuparsi di liquidare posti di lavoro (che, noto, stanno saltando con grande facilità comunque senza bisogno di aiutini modificando le norme sul lavoro) bisognerebbe fare in modo che chi vuole possa assumere con grande facilità uomini o donne, giovani e meno giovani. Allo stesso modo dovrebbe essere altrettanto facilitata la possibilità di mettere in piedi un'attività produttiva. Non solo: dovrebbe essere facilitata la possibilità di mantenerla in vita la propria attività imprenditoriale. Questo perchè non è solo un casino intraprendere un'attività: i grossi casini con la burocrazia e con il fisco arrivano subito dopo. Insomma bisogna permettere di assumere e permettere alla gente di mettersi in proprio e non soffocare le imprese una volta create.
Invece, mentre si agevolano gli strumenti per limitare i diritti di chi un lavoro lo ha, si inventano e si amplificano mille laccioli (formali ed informali, visibili ed invisibili) che impediscono in Italia di fare alcunchè. Ho sempre l'idea che questi pseudo esperti, i burocrati, gli economisti, i politici ed i vari amministratori pubblici non abbiano (colposamente o dolosamente) un'idea reale di come le cose funzionino da noi in Italy. L'incertezza generale regna sovrana cui si affianca l'arbitrio su ogni questione, la corruzione, l'illegalità diffusa, l'opacità di qualsiasi procedura. La normativa è resa deliberatamente confusa per creare ampie sacche di discrezionalità: i diritti in Italia sono favori.
Ecco forse io mi concentrerei su queste cose per rendere competitivo il sistema Paese. Permettere a nuove forme di imprenditorialità di attecchire su nuove produzioni e nuovi servizi.
Del resto cosa significa aumentare i consumi, di cui blaterano tutti questi seri e preparatissimi personaggi, se:
1) la gente i soldi non li ha
2) chi possiede la ricchezza in Italia sono principalmente settori parassitari (politica e dintorni) e forme di imprenditoria distruttiva
3) nessuno produce più nulla (beni - servizi)
Anche se mi mettono in tasca 80€ alla fine, se proprio li spenderò, acquisterò beni e/o servizi realizzati all'estero. Insomma arricchirò gli stranieri. L'Italia è quindi un secchio bucato, se non si tappano i buchi, consentendo la rinascita di un sistema produttivo completamente rinnovato ed innovativo, un immenso fiume di denaro fluirà verso l'estero.
Intanto si continua a semplificare le procedure per licenziare.... Boh! Non ci arrivo. Del resto lo avevo detto che non ci capisco niente.
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