lunedì 25 novembre 2013

Una società a pezzi

Durante questi ultimi anni grande è stata l'attenzione nei confronti degli effetti della crisi e della recessione sull'economia e sul tessuto delle imprese in Italia. Ritengo che sia tuttavia importante riflettere, per non dimenticare, sugli effetti di questi decenni sulla società italiana.

Intendo dire che a fronte della dismissione e smantellamento di numerose realtà produttive, bisogna registrare un altrettanto smantellamento della società e delle sue componenti. 

Ormai per tutti, per lo meno per tutte le persone che possono definirsi in qualche modo "oneste", non vi sono più punti di riferimento di alcun genere. La devastazione della scuola, dell'università e della ricerca, la demolizione dei servizi sociali, sono di fatto accompagnati dalla distruzione delle relazioni sociali. Non si tratta più di una contrapposizione fra individualismo e solidarismo, ma di un "deserto" sociale e relazionale di proporzioni preoccupanti.

Pensare oggi di costruire una famiglia, sotto qualsiasi etichetta, è un'operazione complessa e costosa che scoraggia la maggior parte dei giovani e dei non-più-proprio-così giovani.  Senza la possibilità di avere una casa (di proprietà o in affitto) e senza mezzi di sussistenza, la famiglia è un lusso sempre più riservato a pochi. 

Idem per avere dei figli. I figli costano e se ci si deve barcamenare in mille difficoltà, allora è meglio rinunciare. Oltrettutto senza servizi sociali, con le scuole in condizioni drammatiche, con città invivibili fatte di quartieri sorti solo sull'avidità di palazzinari e politici, avere dei figli vuol dire imbarcarsi in un'impresa rischiosissima.

Quando poi non ci sono prospettive per il futuro, allora la famiglia ed i figli sono solo "un peso". In realtà il problema più grande è proprio questo: è stata distrutta l'idea di "prospettiva". Oggi pensare in maniera tridimensionale (aggiungendo profondità alla propria esistenza) è diventato sempre più difficile e più raro da riscontrare. E' questa carenza che, secondo me, si pone alla base di quel sentimento diffuso di resa e rassegnazione che ci circonda tutti. 

Non c'è futuro, non c'è un domani di lungo respiro: c'è solo la sopravvivenza quotidiana in mezzo ad uno squallore  che non ha pari nella nostra Storia. In uno scenario del genere, tutto perde di senso.

Questa classe politica dovrebbe pertanto essere considerata criminalmente colpevole non solo di aver dissipato, e di dissipare tuttora, enormi risorse economiche solo per autoperpetuarsi, ma anche di aver sterilizzato l'intera società. Non solo hanno distrutto migliaia di imprese, ma hanno distrutto relazioni sociali e la stessa società italiana. E mentre questo accedeva, e sta ancora accadendo, continuano a saccheggiare risorse economiche, storiche, ambientali, sociali ed umane solo per difendere questa situazione miserabile che qualcuno chiama "status quo". 

Spesso mi chedo: ma questa gente è amdata mai a farsi due passi nelle periferie, nelle campagne, in un pronto soccorso, in una scuola elementare... (senza scorta ed in incognito però se no non vale... )? Così: tanto per farsi un'idea della realtà.

La cosiddetta legge di stabilità dovrebbe prevedere anche una parallela legge di stabilità sociale. Da decenni non vi è nulla, assolutamente nulla, che miri alla tutela di quelle strutture che tengono insieme una società. Abbiamo campato di rendita per anni: ora non c'è più nulla che permetta di campare a sbafo di qualcun altro.

Come ho già scritto altre volte, questi individui non hanno nè le capacità nè tantomeno l'intenzione di tutelare le strutture  e le realtà dell'economia reale. Meno che mai quella di salvare la società italiana nel suo insieme. Ci vorrà un tempo lunghissimo e molte generazioni prima di poter solo pensare di ricostruire tutto quello che si sta distruggendo oggi.

La speranza è l'ultima a morire, ma alla fine anche la speranza muore.

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