mercoledì 29 maggio 2013

Franca Rame

La scomparsa di Franca Rame lascia un vuoto veramente incolmabile soprattutto in considerazione dei tempi in cui viviamo. Se si pensa al suo impegno nella durissima lotta per la difesa della dignità delle donne in Italia, c'è da rabbrividire al solo pensiero di come questa dignità sia oggi costantemente offesa nell'indifferenza generale sia per i livelli altissimi di violenza fisica e psicologica sia per la misera immagine che la società italiana ha delle donne.

Se si pensa poi al suo impegno politico, viene ancora una volta da rabbrividire per la scomparsa della politica in Italia: non esiste più alcun impegno, alcuna responsabilità, alcun senso di comunità non solo nelle forze politiche ma anche nello stesso tessuto sociale italiano che si sta lentamente decomponendo.

Riguardo al suo spessore artistico, la miseria culturale italiana di fatto rende impossibile lo sviluppo di nuove generazioni di artisti che in qualche modo possono rimpiazzare le generazioni precedenti e acquisire una visibilità in un paesaggio culturale italiano del tutto sterile. Gli intellettuali italiani sono o schierati con il potente di turno o ridotti al silenzio, per l'inutilità di qualsiasi impegno e chi può fugge. La società italiana poi ha raggiunto livelli di ignoranza tali che per molti Franca Rame è solo un nome come tanti altri, di cui si sa poco o nulla, di cui importa poco o nulla.

La memoria srtistica, culturale e politica di personaggi che hanno contribuito a rendere l'IItalia un contesto culturale di qualche spessore, nonostante tutto, rimane affidata alla buona volontà e all'impegno di pochi "illuminati" che vagano come zombie in un mondo di tenebre. 

Ormai in questa terra di sciagure, dove chi può fugge via, tutto scivola: nulla fa più presa. C'è un strato di unto sudiciume di bassissimo livello tale da rendere un buffone o un cialtrone un grande statista o un ciarlatano un grande poeta-musicista impegnato. Alla fine Franca Rame quasi stonava con tutta questa cialtroneria....

mercoledì 22 maggio 2013

Quanta ingiustizia ed ineguaglianza possiamo tollerare?

In questi tempi grotteschi e macabri, che un gurppo di poveri deficienti dica delle assurdità contro ogni buon senso ed oltretutto faccia di tutto per mettere in pratica queste assurdità non è poi cosa così sorprendente. La cosa che mi lascia sempre stupefatto è che ciò avvenga nell'indifferenza generale.

Faccio veramente una fatica enorme nel tentare di seguire, meno che mai comprendere, le dinamiche (parlo di dinamiche e non di logiche perchè non c'è alcuna logica in tutto questo), quello che mi circonda. Cerco di vivere in modo quasi catacombale e di tapparmi occhi ed orecchi quando sono fuori di casa: ma la puzza nauseabonda del reale filtra da ogni dove.

Ieri poi ho avuto la malaugurata idea di vedere Ballarò: l'avessi mai fatto!!! Sono stato colto da un disgusto deprimente, da un infarto esistenziale nel vedere un'apoteosi di tale e tanta pochezza umana. Un amalgama indistinguibile di individui senza alcun "distinguo": chi è del PDL? Chi è del PD? Chi fa cosa? Ma dove vivono costoro? Sembravano tutti degli atuomi, programmati per non rispondere non solo alle domande che venivano fatte, ma incapaci anche di prendersi la benchè minima reponsabilità delle loro azioni.

Dopo dieci minuti ho spento la TV e sono andato a dormire.

Mentre un gruppo relativamente sparuto di individui sembra in preda ad una frenesia delirante, la realtà quotidiana di migliaia di famiglie e comunità appare sempre più disperata. Sembra che questo gruppuscolo stia giocando con un videogame, mentre intorno il mondo crolla: ormai l'Italia si regge sulla forza fisica e psichica di alcuni gruppi di persone, sulle braccia di alcuni uomini e donne che, sotto l'impulso di un qualche sentimento solidaristico, mandano avanti tutta la baracca.

Il cosiddetto Stato Sociale è ormai identificato interamente con la famiglia: tutto il peso della sfera sociale grava sulla famiglia e soprattutto sulle braccia delle donne. La buona volontà di pochi manda avanti l'intera baracca perchè la politica è impegnata altrove a spremere denaro e sprecarlo per i propri apparatchik.Chi non ha una famiglia, di fatto è fuori dal welfare.

Se all'interno della macchina dello Stato, tutti, e dico tutti, si adeguassero al modello che viene dall'alto, tutto si bloccherebbe: tutto si spegnerebbe e sarebbe finito. Non funzionerebbe più nulla. Black out.
Scuole, ospedali, treni, aerei, ecc... vanno avanti perchè qualcuno ha ancora il buon cuore di farli andare avanti: against all odds

Idem nel settore privato. A fronte di un esercito di mascalzoni che si definiscono imprenditori, c'è ancora qualcuno che si attiene alle regole e tira avanti. Ma quanto può durare tutto questo?

Quanta ingiustizia possiamo ancora sopportare?
Quanta diseguaglianza possiamo ancora digerire?

La tragedia di tutto questo scenario infatti è che ancora esite qualcuno che giustifica questo sistema e questi personaggi. C'è ancora qualcuno (e sono tanti) che pensa che tutto questo sia "democrazia". C'è ancora qualcuno che pensa che "Lui risolverà tutto".

Questo esercito sterminato di "qualcuno" mi lascia senza forze e senza speranze. Perchè la speranza è l'ultima a morire, ma anche lei prima o poi muore...


martedì 14 maggio 2013

lunedì 6 maggio 2013

Crescita?!? Quale Crescita?

Da alcuni giorni la nomenclatura italiana non fa altro che ripetere come delle scimmie o meglio dei pappagalli la parola "crescita". Mille volte. In continuazione. In ogni occasione. In ogni intervista.

La prima cosa che mi viene da pensare è che costoro non sanno minimamente in cosa consista realmente la "crescita". Tutti ne parlano, ma nessuno ti dice di cosa sta realmente parlando. "Bisogna stimolare la crescita": che significa? Come la vuoi stimolare?. Niente da fare: si riempiono la bocca di un clichè che viene ripetuto meccanicamente senza aggiungere il benchè minimo contenuto al concetto.

Già questo "vuoto" dovrebbe far riflettere sull'inconsistenza della nomenclatura. Se poi, per mero gusto masochistico, andiamo a scalfire la superficie di questo concetto, allora sì che ci sarebbe di che preoccuparsi.

L'idea della crescita si lega al concetto di PIL ovvero aumentare costantemente e progressivamente la ricchezza "monetaria" e numericamente quantificabile prodotta dal sistema economico. Questa crescita dipende esclusivamente dai "consumi": non c'è altro. Bisogna "comprare", "spendere" far circolare soldi: non ci sono altre questioni. Niente problema ambientale, niente sostenibilità sociale, niente qualità della vita. L'importante è solamente consumare. Consumare tutto: risorse ambientali, umane, culturali, economiche e sociali. 

Controparte del consumo è il rifiuto. Dopo aver consumato si generano dei rifuiti che devono essere buttati via, il più lontano possibile. E nei rifiuti troviamo non solo gli scarti della produzione, ma anche il risultato della "elaborazione" di tutte le altre risorse. Tra le quali, non dimentichiamo, ci sono le persone che l'economia definisce "risorse umane", "capitale umano" e via discorrendo. Anche uomini e donne diventano rifiuti.

Non è un caso che la crescita sia sostenuta laddove la comunità manca di beni: l'Italia del dopoguerra era affamata di tutto e non solo di prodotti alimentari. Servivano frigoriferi, lavatrici, automobili, case, scarpe, vestiti, occhiali, mutande, martelli, trattori, ecc... Da qui nasce il boom economico e la crescita elevata. 

Il problema è che un'economia che ha soddisfatto gran parte dei propri bisogni tende a diventare un'economia cosiddetta avanzata ovvero presenta bisogni "diversi". La domanda di prodotti "base" è satura: non è possibile comprare 5 frigoriferi, 10 automobili, 100 paia di scarpe. 

Le cose sono due: o il tessuto produttivo si rivolge a mercati "bisognosi" di questi beni (ma sono poveri...) oppure si cambia completamente ottica. 

Il cambio di ottica sarebbe ovviamente l'opzione più intelligente, ma senza ricerca e sviluppo non è possibile fare nulla. Da decenni l'Italia non tira fuori un euro per la scuola, l'università e la ricerca pubbliche, ma spende un fiume di denaro per le missioni militari all'estero. Siamo quindi totalmente fuori target. Troppo spesso poi le imprese private considerano la ricerca solamente un "costo" e quindi non ci investono niente.

Rimaniamo quindi con un sistema produttivo antiquato, la cui obsolescenza è primariamente culturale piuttosto che tecnologica. Inoltre, visto che non siamo in grado di produrre beni ad elevato contenuto di innovazione, bisognerebbe produrre "servizi" (anche se anch'essi necessitano di innovazione) invece che solamente "beni materiali": anche qui siamo messi male. Per servizi si pensa sempre alle banche che il più delle volte rappresentano la punta dell'iceberg dell'economia della rapina, ma non dei servizi. Il concetto di "servizio" è molto ampio e va ovviamente dall'assistenza all'infanzia o agli anziani fino al plus presente in molti beni materiali. Anche su questo versante siamo lontanissmi dall'obiettivo.

Non bisogna dimenticare poi che molti studi hanno dimostrato che l'accumulo di beni non coincide con la soddisfazione generale, anzi più si possiede, peggio si vive. L'economia del "ben-avere" e della crescita non genera ben-essere, ma un'insoddisfazione strisciante cui la pubblicità fa fronte comvincendo la gente a comprare sempre di più beni fondamentalmente inutili. Nel dibattito politico tutto questo è assente: manca totalmente non solo la tutela e valorizzazione dell'ambiente, ma lo stesso concetto di qualità della vita individuale e collettivo. 

E' possibile creare lavoro rimodulando il sistema produttivo verso un'economia moderna (invece che tentare di fare concorrenza alla Zimbabwe) fatta di servizi e beni ad elevato contenuto di "servizio" il che vuol dire: comprendere la nuova domanda per ri-orientare l'offerta. La cultura genera posti di lavoro così come l'intero tessuto di tradizioni (materializzate in prodotti artigianali e dell'agroalimentare): la tutela dell'ambiente e il recupero del paesaggio (devastati dai decenni della crescita) offrono altrettante opportunità.

La ricchezza che può e deve essere generata non è solo economica: possiamo guadagnare meno e vivere molto meglio quando la qualità della vita viene considerata prioritaria rispetto al profitto.

Il grosso problema è che la nomenclatura, quando conosce un minimo della questione, è ancora ancorata ad un'idea di sviluppo economico degli anni '50. I politici hanno infilato i loro famigli in tutti gli ambiti della società: abbiamo una burocrazia spaventosa fatta spesso di "fedeli-incompetenti".

In queste condizioni qualcuno ancora si meraviglia che l'intero Paese stia avvizzendo come una pianta senza acqua?