Le ultime infuocate discussioni sui vari provvedimenti governativi (sia pure molto importanti e politicamente pesanti) sono anche serviti alla fine per mettere in ombra le strategie messe in atto per gestire in qualche maniera questa crisi economica. In effetti era necessario portare in secondo piano soprattutto le pericolose implicazioni in termini di equità sociale dei cosiddetti tagli e risparmi che i signori della politica hanno messo in campo. Eh sì, perchè, come è stato detto da più parti, a pagare il conto della pizzeria, dopo decenni di bagordi, sono sempre i soliti fessi che non possono svicolare, non possono evadere, non possono occultare.
Un insegnante, un ricercatore, un impiegato statale di certo non possono dichiarare una miseria di reddito annuo e poi avere un SUV gigantesco per andare a fare shopping a pochi metri da casa oppure uno yacht: altri invece lo possono fare tranquillamente ed il bello è che potranno continuare a farlo ancora più tranquillamente.
E poi ci sono i precari, i disoccupati, i pensionati con pochi spicci mensili. Tutta gente puntalmente ricattata alla prossima tornata elettorale: un circolo vizioso senza uscita.
Ma a pagare il conto della pizzeria non sono solo le persone e le famiglie "politicamente" deboli: ci sono interi settori della nostra società altrettanto "politicamente deboli". La cosa che fa più rabbia è che alcuni di questi settori come la scuola pubblica o la ricerca sono considerati delle voci di costo e quindi, a rigor di logica, devono essere "tagliati". Mentre quindi la politica parla di sacrifici (mai per sè nonostante le chiacchiere: vedrete che elimineranno solo le province di Asmara, Addis Abeba e Tripoli) questi settori sono oggi con le pezze nel sedere e si reggono solo sulla forza fisica e psicologica di chi porta avanti scuole, istituti di ricerca, laboratori, centri culturali, biblioteche, ecc... Parlo di forza fisica perchè ormai la scuola e la ricerca si reggono sulle braccia di tante donne e uomini.
Ho trovato questa lettera di un'insegnante sul sito di Micromega: non sarei stato capace di trovare parole più appropriate. Quindi condivido questo documento sottolineando che quanto descritto vale anche, nelle grandi linee, per la ricerca.
Ancora una volta torno a domandarmi: quanta ineguaglianza siamo capaci di sopportare?
Un insegnante, un ricercatore, un impiegato statale di certo non possono dichiarare una miseria di reddito annuo e poi avere un SUV gigantesco per andare a fare shopping a pochi metri da casa oppure uno yacht: altri invece lo possono fare tranquillamente ed il bello è che potranno continuare a farlo ancora più tranquillamente.
E poi ci sono i precari, i disoccupati, i pensionati con pochi spicci mensili. Tutta gente puntalmente ricattata alla prossima tornata elettorale: un circolo vizioso senza uscita.
Ma a pagare il conto della pizzeria non sono solo le persone e le famiglie "politicamente" deboli: ci sono interi settori della nostra società altrettanto "politicamente deboli". La cosa che fa più rabbia è che alcuni di questi settori come la scuola pubblica o la ricerca sono considerati delle voci di costo e quindi, a rigor di logica, devono essere "tagliati". Mentre quindi la politica parla di sacrifici (mai per sè nonostante le chiacchiere: vedrete che elimineranno solo le province di Asmara, Addis Abeba e Tripoli) questi settori sono oggi con le pezze nel sedere e si reggono solo sulla forza fisica e psicologica di chi porta avanti scuole, istituti di ricerca, laboratori, centri culturali, biblioteche, ecc... Parlo di forza fisica perchè ormai la scuola e la ricerca si reggono sulle braccia di tante donne e uomini.
Ho trovato questa lettera di un'insegnante sul sito di Micromega: non sarei stato capace di trovare parole più appropriate. Quindi condivido questo documento sottolineando che quanto descritto vale anche, nelle grandi linee, per la ricerca.
Ancora una volta torno a domandarmi: quanta ineguaglianza siamo capaci di sopportare?
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