Sono anni che non si sente parlare altro: per aumentare il livello di competitività delle imprese italiane serve una maggiore penetrazione dell'innovazione e per questo è necessario rafforzare i legami fra ricerca ed imprese. Una buona idea a parole, ma i fatti in realtà parlano diversamente. Quello che ho visto, e vedo tuttora, nella mia modestissima esperienza professionale personale è denaro pubblico sotto e male impiegato una moltiplicazione sconsiderata di sportelli, task force ed agenzie, processi inefficienti di trasferimento tecnologico di tipo top-down (anche quando vengono spacciati per bottom-up), tentativi di creazione "per legge" di Silicon Valley nel nulla, grande attenzione principalmente per macchinari e tecnologie e nessun tentativo reale di influenzare le mentalità degli individui, alimentare una cultura innovativa diffusa e stimolare lo spirito di iniziativa e la creatività.
E' evidente che le collaborazioni fra ricerca pubblica e le imprese (soprattutto quelle piccole e medie che solitamente non dispongono di personale per la ricerca e l’innovazione) possono giocare un ruolo notevole, ma cooperare in questo campo resta però un percorso ancora poco agevole: invece di essere animate da spirito di collaborazione, queste partnership sembrano ispirate da un senso di confronto fra rivali che considerano le questioni dell’altro come problemi di basso profilo.
Le imprese devono finalmente capire che non si può essere competitivi solo agendo sulla leva dei costi ma bisogna tornare a guardare all’innovazione per essere competitive: non di rado però l’opposizione di un imprenditore all’innovazione non è frutto solo dell’ignoranza o della pigrizia. Facciamo anche un po' di autocritica: le università ed i centri di ricerca talvolta sembrano incapaci di attivare relazioni costruttive con l’imprenditoria, per scarsa disponibilità a sporcarsi le mani con le imprese o per approcci ancora troppo accademici. Il contatto con il mondo produttivo espone poi la ricerca a eventuali critiche e osservazioni da parte degli imprenditori e ciò non fa sempre piacere ai ricercatori.
Urge quindi cambiare mentalità e fare tesoro di esperienze poco entusiasmanti come quelle dei parchi scientifici e tecnologici. Troppi sono gli esempi di flussi di know how incontrollati e mal gestiti che hanno generato condizioni di eccesso di informazioni scorrette che hanno confuso e scoraggiato i soggetti coinvolti. Senza una cultura innovativa diffusa le nostre Silicon Valley diventano solo dei castelli di sabbia perché i fenomeni di agglomerazione non sono sostenuti da un ambiente innovativo. Oltre ad investire in ricerca e innovazione, bisogna fare in modo che aumenti nel volume di innovazione e ricerca possano essere sostenuti da interventi capaci di rendere le conoscenze produttive con reti stabili fra ricerca e società, identificando i reali bisogni di innovazione, creando nuove competenze.
Servono meno convegni e conferenze, meno depliant. Allo stesso modo non serve moltiplicare le agenzie per lo sviluppo ma semplificare gli interventi e coordinare gli enti attuali in modo efficace per individuare i soggetti appropriati da coinvolgere e i prodotti della ricerca più rispondenti ai bisogni delle imprese, stimolare fenomeni di contagio verso altre imprese, fare vera formazione in caso di riqualificazione produttiva e generare impatti positivi sul territorio con un uso più efficace e più efficiente del denaro pubblico.
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