IN ORDINE SPARSO: IL DESTINO DI NOI ITALIANI
Riflessioni post-otto Luglio in Piazza Navona
L’otto Luglio scorso ero a Roma, in Piazza Navona, a manifestare, assieme ad altre decine di migliaia di persone, contro le leggi-vergogna volute da Berlusconi. Ho quindi potuto ascoltare dal vivo quanto detto da Beppe Grillo e da Sabina Guzzanti. Le cose che hanno detto non mi hanno scandalizzato, nemmeno per i termini utilizzati, sapendo che rientrano nel loro stile. Semmai, riflettendo poi con calma, mi hanno posto degli interrogativi. L’intervento di Sabina Guzzanti seguiva a ruota quello di Beppe Grillo, che a sua volta seguiva quello di Marco Travaglio. Il problema che quel giorno si è generato, per poi essere amplificato e sfruttato a dismisura dai media, pare essere esclusivamente legato a quanto detto dalla Guzzanti e da Grillo. In particolare, trascurando le battutacce sul sexy-gate berlusconian-velinesco, le esternazioni sul presidente della repubblica e sul papa non sono state accettate. A mio avviso, comunque, quel problema era figlio di un altro problema che stava a monte e cioè, evidentemente, il fatto che prima di quel giorno non fosse stato chiaro, per tutti, quale messaggio ci si proponeva di trasmettere con quella manifestazione di piazza. Era forse chiaro, prima della manifestazione, il messaggio che si intendeva mandare? A mio avviso sì! Lo posso dire avendo ascoltato le dichiarazioni e raccomandazioni fatte, tra gli organizzatori, da Paolo Flores d’Arcais e da Antonio Di Pietro, nei giorni immediatamente antecedenti l’evento. Sulla base di tali dichiarazioni, l’idea che mi ero fatto era quella di una manifestazione aperta a tutti i cittadini a cui stanno a cuore la democrazia e le sue istituzioni, indipendentemente dall’appartenenza politico-partitica e, semmai, con un’auspicata apertura verso il partito democratico, invitato ad aggiungersi alla protesta. Quindi senza nessuna demonizzazione, offesa o attacco diretto alle istituzioni o a parte dell’opposizione, con unica eccezione, ovviamente, della parte avversa, cioè del presidente del consiglio e dei suoi compagni di merende/governo. Avrebbe dovuto essere un messaggio di partecipazione democratica ampia e priva di alcun veto verso nessuno, per manifestare una voglia di politica autentica, vera, dal basso. Tutti questi begli auspici, purtroppo, il giorno della manifestazione si sono verificati solo fino a un certo punto. Sono stati, infatti, di notevole spessore civico ed intellettuale i primi interventi, quelli di Flores d’Arcais, di Rita Borsellino, di Camilleri, di Di Pietro, di Pancho Pardi, di Moni Ovadia, pure quello di Fiorella Mannoia. L’intervento di Marco Travaglio, con la sua ironia sottile, lo stile cabarettistico e le non lesinate critiche al PD, era ancora accettabile, ma rappresentava, a mio avviso, il limite oltre il quale non valeva la pena di andare, per una questione di qualità del messaggio complessivo che ne sarebbe uscito. Difatti, sia l’intervento di Grillo sia quello della Guzzanti hanno sortito l’effetto, magari non cercato, ma poi comunque ottenuto, di porre in secondo piano, fino quasi a far dimenticare, i discorsi ben più alti che li avevano preceduti. Il giorno seguente la manifestazione, riflettendo con calma su quanto accaduto, ho pensato questo: non è facile centrare l’obiettivo di trasmettere un messaggio univoco, quindi efficace, quando a parlare, in nome della democrazia e della trasparenza, ci sono parecchi soggetti, ognuno portatore di un proprio pensiero e di un proprio stile di comunicazione. Questo, probabilmente, è il rischio che si corre quando si intende privilegiare la pluralità e la libertà di espressione. D’altronde, non è nemmeno pensabile che si dovesse escludere a priori Tizio o Caio, come non è proponibile ipotizzare che si dovesse porre dei limiti al loro rispettivo campo d’azione. A mio avviso, quindi, rimaneva solo un’unica via:quella che ognuno degli intervenuti non perdesse di vista l’obiettivo comune, che era quello di dare un’immagine della manifestazione quanto più efficace, univoca e coesa possibile, come era stato in origine auspicato dagli organizzatori. Non dimentichiamoci che la libertà, per essere veramente tale ed esplicarsi al meglio, quindi senza danno o sottrazione della libertà altrui, presuppone una grande assunzione di responsabilità, un grande rigore morale e comportamentale da parte del singolo individuo che ne beneficia. Altrimenti, per non scivolare nell'intemperanza, bisogna richiamarsi a delle regole e rispettarle. Si è detto e si continua a ripetere che ognuno si deve assumere le proprie responsabilità rispetto a quello che dice e a quello che fa. Secondo me la responsabilità, nel caso di Piazza Navona, non doveva limitarsi a essere, come comunemente si intende, solo quella civile o penale legata ad eventuali diffamazioni, ingiurie o altro; essa doveva essere rivolta, soprattutto, nei confronti della riuscita della manifestazione. Quest'ultima, infatti, avrebbe dovuto essere la responsabilità più grande alla quale ognuno avrebbe dovuto richiamarsi. Quindi, per concludere, sapendo tutti noi con che razza di media abbiamo a che fare in questo sgangherato paese, ognuno degli intervenuti l’otto Luglio in Piazza Navona avrebbe dovuto adoperarsi per la causa comune, quella di manifestare il dissenso rispetto all’attentato alla democrazia perpetrato scientificamente dal caimano piduista, piuttosto che lasciarsi andare a divagazioni o battute che stanno benissimo, senza fare alcun danno, in contesti di altro tipo, come quello teatrale.
Mauro Zambon
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