Quando si parla di sviluppo territoriale non si può fare riferimento solo ad aspetti economici, sociali, ecologici, biologici, geologici, ecc… ma si devono anche tenere presenti precisi “segnali” e valori. Se questi segnali e valori sono amputati dagli elementi economici, sociali o ambientali allora lo sviluppo locale si ripiega su sé stesso e questi valori e segnali finiscono con il diventare dei simboli astratti ed incomprensibili. La mancanza di questi valori di fatto trasforma ad esempio le questioni ambientali in mero ecologismo, quando in realtà il degrado dello spazio che ci circonda è il risultato di precisi modelli di sviluppo economico che si fondano a loro volta su precisi (dis)valori di riferimento. La tutela dell’ambiente è pertanto una questione primariamente etica e solo secondariamente una questione “tecnica”. Fintanto che i temi dell’economia, dello sviluppo e dell’ambiente sono affidati a dei “tecnici” allora il tentativo di trasferire queste tematiche ad un livello più elevato (ad esempio connettere lo sviluppo alla coesione sociale, alla ricostruzione del senso di comunità e di responsabilità, al volontariato e alle attività solidali, alla tutela degli interessi di tutti, ecc…) finirà con l’essere bollato come puro idealismo fatto di inapplicabili idee ingenue e fantasiose. Eppure non è così: abbiamo sempre detto, e l’esperienza quotidiana ce lo conferma ampiamente, che il nodo principale dell’attivazione di circuiti di sviluppo virtuosi deve partire dal basso, dal livello “micro” (dato che dal “macro” non possono che arrivare messaggi fuorvianti) ovvero bisogna lavorare sugli schemi mentali e comportamentali di ognuno di noi. Questi schemi comportamentali alla fine sono quelli che denunciano in modo implacabile i valori e l’estetica dei gruppi sociali cui apparteniamo. In fondo, come in agricoltura, stiamo soffrendo gli effetti devastanti di una vera e propria “monoco(u)ltura” che si fonda sull’accumulo organizzato di beni inutili, immagini prive di sostanza, centri commerciali, ecc… Bisogna abbandonare il ruolo di meri spettatori. Le possibilità di riuscire a venire fuori da questo corto circuito si legano alla riscoperta e recupero di valori dell’”essere” in contrapposizione a quelli dell’”avere” ovvero riscoprire il significato dell’idea di “persona” da opporre a quella di “consumatore” o “utente”: intorno a queste visioni ed interessi comuni è possibile costruire una comunità (anche estesa e non necessariamente basata sui vincoli di prossimità spaziale) cui si può appartenere senza fare riferimento ai livelli di reddito, di classe o di ben acquistati: smettiamo di valutare le persone dal loro telefonino o dalle loro automobili, ma dal loro equilibrio e dalla loro integrità personale. Cominciamo quindi ad esplorare e riscoprire il “locale” non solo come spazio e territorio che ci circonda, ma anche come luogo della cultura e della personalità individuale e collettiva.
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