Ho cercato di seguire i festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Certo non proprio a livello nazionale: non ho seguito ad esempio le polemiche ed i dispettucci vari fatti da chi cerca di farsi notare come può.
Qui nel paesino dove vivo, sono state fatte alcune manifestazioni che, nonostante la pioggia, hanno avuto una certa partecipazione di pubblico. Eppure non ho avuto la sensazione di una grande partecipazione "emotiva" a tutto questo. Voglio dire che, certamente, visto che oltretutto non posseggo un grande spirito nazionalista, non mi aspettavo un delirio di massa di fronte a questo evento, ma noto che le coscienze individuali non le smuove più nessuno.
Penso che questi benedetti 150 anni di unità avrebbero potuto (ma del resto penso che possano ancora) servire da stimolo per cercare di riconoscersi in una comunità, in una cultura, in un gruppo di tradizioni e di retaggi. Invece vedo prevalere sempre la logica del "cane sciolto": ognuno per sè, Dio per tutti.
Non dico che dobbiamo correre per le vie e le piazze sventolando il tricolore, ma almeno potremmo riflettere su una possibile idea di "appartenenza". E non parlo solo di appartenza nazionale, all'idea di Italia (che è anche un concetto forse obsoleto), ma ad una qualunque idea di appartenenza.
I legami oggi sono fluidi (come direbbe Baumann), ma talmente fluidi che dall'oggi al domani possono essere risolti: legami di amicizia, famiglia, comunità, gruppo, ecc... Tutti questi legami sono così deboli e privi di responsabilità che possono disgregarsi al primo mutare di interesse e prospettiva. Sempre citando Baumann mi rendo conto che siamo "sciame", non "comunità".
Insomma alla fine questo anniversario è diventato una cartina tornasole della nostra debolezza come comunità, e non solo come comunità nazionale (di cui ripeto mi interessa anche poco), ma come comunità di persone consapevoli e responsabili in quanto tale.
Un'ulteriore conferma, se ce ne fosse stato bisogno, della nostra collettiva pochezza e mancanza di spessore.
Qui nel paesino dove vivo, sono state fatte alcune manifestazioni che, nonostante la pioggia, hanno avuto una certa partecipazione di pubblico. Eppure non ho avuto la sensazione di una grande partecipazione "emotiva" a tutto questo. Voglio dire che, certamente, visto che oltretutto non posseggo un grande spirito nazionalista, non mi aspettavo un delirio di massa di fronte a questo evento, ma noto che le coscienze individuali non le smuove più nessuno.
Penso che questi benedetti 150 anni di unità avrebbero potuto (ma del resto penso che possano ancora) servire da stimolo per cercare di riconoscersi in una comunità, in una cultura, in un gruppo di tradizioni e di retaggi. Invece vedo prevalere sempre la logica del "cane sciolto": ognuno per sè, Dio per tutti.
Non dico che dobbiamo correre per le vie e le piazze sventolando il tricolore, ma almeno potremmo riflettere su una possibile idea di "appartenenza". E non parlo solo di appartenza nazionale, all'idea di Italia (che è anche un concetto forse obsoleto), ma ad una qualunque idea di appartenenza.
I legami oggi sono fluidi (come direbbe Baumann), ma talmente fluidi che dall'oggi al domani possono essere risolti: legami di amicizia, famiglia, comunità, gruppo, ecc... Tutti questi legami sono così deboli e privi di responsabilità che possono disgregarsi al primo mutare di interesse e prospettiva. Sempre citando Baumann mi rendo conto che siamo "sciame", non "comunità".
Insomma alla fine questo anniversario è diventato una cartina tornasole della nostra debolezza come comunità, e non solo come comunità nazionale (di cui ripeto mi interessa anche poco), ma come comunità di persone consapevoli e responsabili in quanto tale.
Un'ulteriore conferma, se ce ne fosse stato bisogno, della nostra collettiva pochezza e mancanza di spessore.
2 commenti:
Mi riconosco tra quelli che non riescono a trovare un significato nel tricolore, perché a parte quello tinto sulla tela, non riesco a vederne un altro. Cos'è l'Italia? E' il Paese in cui c'è un Presidente del consiglio che definisce "coglioni" il popolo che rappresenta e che si lamenta, perché la suola pubblica non vale niente? Il Paese in cui c'è un Presidente della Repubblica che afferma, nell'ultimo libro uscito su di lui: «Questo non è il Paese che sognavo»? Personalmente, ho vissuto questa festa come vivo le cene tra colleghi: semplicemente non ci vado, perché è solo un'iniziativa di facciata, che serve a dare l'impressione che tutto stia andando bene. Spesso è anche un modo per invadere la sfera personale di chi si vuole colpire, nella speranza che durante la cena uno si formalizzi di meno.
In realtà, mi è stato poi riferito che nel mio paese (Budoia, PN) si è svolta una cerimonia molto bella e molto partecipata, accompagnata da discorsi pertinenti e mirati, sul significato dell'identità e della responsabilità che ogni cittadino deve sentire. Questo è stato possibile, però, perché l'attuale Sindaco è un giovane capace e preparato, non animato dall'ambizione della carriera politica e molto attento a creare unione e partecipazione nella comunità che rappresenta. Questo Sindaco si chiama Roberto De Marchi e sta rivoluzionando il modo di fare politica: da parte dell'opposizione è stato perfino compreso che in un clima del genere è meglio essere propositivi, se non si vuole sfigurare. Se questa fosse anche l'Italia...
Ovviamente ti riferisci a quella pesante intelaiatura che ingabbia questa terra. Nessuna persona di buon senso si può indentificare con questo. Il problema è che la miseria della politica italiana (salvo qualche amministratore pioniere come nel tuo paese) trascina nel suo squallore qualsiasi cosa si chiami Italia. Ovviamente nemmeno io mi riconosco nei furbi, nei truffatori, nel bunga bunga e nei corrotti come non mi riconosco in chi espone il tricolore per qualche giorno e poi se ti può fregare non ci pensa su due volte. Mi identifico semmai con un'altra Italia: quella che con la forza fisica e mentale manda avanti tutta la baracca con dignità e senso dell'onore. E' un'Italia che non festeggia mai: comunque esiste...
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