lunedì 18 maggio 2009

Il PIL crolla. E allora?

Con la diffusione delle ultime stime Istat sui valori del PIL italiano si attivata la solita campagna di panico e di paura verso l'opinione pubblica. Parallelamente torna, anche se con toni smorzatissimi, la critica sulla validità di questo indicatore e sul suo reale significato.

Si tratta di critiche e di osservazioni che da anni vengono portate avanti ma che hanno poco spazio nei media poichè il PIL è fondamentalmente uno strumento che garantisce la prosecuzione di un ben preciso modello di sviluppo economico legato alla "crescita". Criticare il PIL significa criticare l'idea di "crescita".

Detto in termini molto semplici (anzi semplicistici) il PIL è un indicatore della ricchezza prodotta da un Paese: tutto quello che non è monetizzabile non rientra nel computo del PIL. Le automobili prodotte e vendute generano ricchezza nell'industria automibilistica così come i morti negli incidenti stradali generano ricchezza nel settore assicurativo. Quando si deforesta un'area per realizzzare una zona residenziale si genera ricchezza (dalla vendita del legname fino alla vendita finale degli alloggi): questo il PIL lo calcola, ma la perdita del bosco viene ignorata dal PIL.

Il PIL ignora il lavoro del volontariato, ignora tantissime esternalità (inquinamento, erosione, desertificazione, sovrasfruttamento delle risorse, ecc...), ignora la solidarietà.

In breve il PIL misura la crescita ma non misura il benessere reale.
Un Paese con un valore di PIL più basso dell'Italia ad esempio, può però essere capace di produrre più benessere per i suoi cittadini.

In particolare l'Italia è un Paese potenzialmente capace di produrre ricchezza privata, ma è incapace di produrre ricchezza pubblica: evasione fiscale, individualismo, assenza di senso civico, opportunismo, corruzione, cinismo fanno sì che magari ci siano delle belle ville con pratini all'inglese perfettamente curati, ma appena fuori il cancello non ci sia un parco pubblico decente, i lampioni siano arrugginiti, le scuole cadenti, le strade distrutte, gli ospedali fatiscenti...
Anche se l'Italia produce ricchezza, non abbiamo una classe dirigente e politica capace di convertire questa ricchezza in benessere diffuso.

Allora, invece di strapparci i capelli per la caduta del PIL, domandiamoci invece quanto ognuno di noi si adopera realmente per il benessere della propria famiglia e della propria comunità. Domandiamoci invece quali sono i trend del benessere in Italia.

Si vendono meno automobili, meno cellulari, meno TV LCD? Spostiamoci verso forme di economia meno isteriche e magari più frugali: bisogna dedicare maggiore sostegno a settori produttivi oggi negletti (energie alternative, agroalimentare, ricerca scientifica, bioedilizia, ecc...) capaci di creare opportunità occupazionali e di impresa.

Crolla il PIL? Chi se ne importa. Saremo forse meno ricchi, consumeremo meno, ma cerchiamo di essere più felici, pretendere servizi sociali pubblici decenti (scuola, sanità, trasporti, assistenza) e più in sintonia con l'ambiente che ci circonda e con la Terra...

Consiglio per approfondimenti questa intervista a Serge Latouche e questo video di Vandana Shiva (in inglese sottotitolato in italiano)

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