Da alcuni giorni la nomenclatura italiana non fa altro che ripetere come delle scimmie o meglio dei pappagalli la parola "crescita". Mille volte. In continuazione. In ogni occasione. In ogni intervista.
La prima cosa che mi viene da pensare è che costoro non sanno minimamente in cosa consista realmente la "crescita". Tutti ne parlano, ma nessuno ti dice di cosa sta realmente parlando. "Bisogna stimolare la crescita": che significa? Come la vuoi stimolare?. Niente da fare: si riempiono la bocca di un clichè che viene ripetuto meccanicamente senza aggiungere il benchè minimo contenuto al concetto.
Già questo "vuoto" dovrebbe far riflettere sull'inconsistenza della nomenclatura. Se poi, per mero gusto masochistico, andiamo a scalfire la superficie di questo concetto, allora sì che ci sarebbe di che preoccuparsi.
L'idea della crescita si lega al concetto di PIL ovvero aumentare costantemente e progressivamente la ricchezza "monetaria" e numericamente quantificabile prodotta dal sistema economico. Questa crescita dipende esclusivamente dai "consumi": non c'è altro. Bisogna "comprare", "spendere" far circolare soldi: non ci sono altre questioni. Niente problema ambientale, niente sostenibilità sociale, niente qualità della vita. L'importante è solamente consumare. Consumare tutto: risorse ambientali, umane, culturali, economiche e sociali.
Controparte del consumo è il rifiuto. Dopo aver consumato si generano dei rifuiti che devono essere buttati via, il più lontano possibile. E nei rifiuti troviamo non solo gli scarti della produzione, ma anche il risultato della "elaborazione" di tutte le altre risorse. Tra le quali, non dimentichiamo, ci sono le persone che l'economia definisce "risorse umane", "capitale umano" e via discorrendo. Anche uomini e donne diventano rifiuti.
Non è un caso che la crescita sia sostenuta laddove la comunità manca di beni: l'Italia del dopoguerra era affamata di tutto e non solo di prodotti alimentari. Servivano frigoriferi, lavatrici, automobili, case, scarpe, vestiti, occhiali, mutande, martelli, trattori, ecc... Da qui nasce il boom economico e la crescita elevata.
Il problema è che un'economia che ha soddisfatto gran parte dei propri bisogni tende a diventare un'economia cosiddetta avanzata ovvero presenta bisogni "diversi". La domanda di prodotti "base" è satura: non è possibile comprare 5 frigoriferi, 10 automobili, 100 paia di scarpe.
Le cose sono due: o il tessuto produttivo si rivolge a mercati "bisognosi" di questi beni (ma sono poveri...) oppure si cambia completamente ottica.
Il cambio di ottica sarebbe ovviamente l'opzione più intelligente, ma senza ricerca e sviluppo non è possibile fare nulla. Da decenni l'Italia non tira fuori un euro per la scuola, l'università e la ricerca pubbliche, ma spende un fiume di denaro per le missioni militari all'estero. Siamo quindi totalmente fuori target. Troppo spesso poi le imprese private considerano la ricerca solamente un "costo" e quindi non ci investono niente.
Rimaniamo quindi con un sistema produttivo antiquato, la cui obsolescenza è primariamente culturale piuttosto che tecnologica. Inoltre, visto che non siamo in grado di produrre beni ad elevato contenuto di innovazione, bisognerebbe produrre "servizi" (anche se anch'essi necessitano di innovazione) invece che solamente "beni materiali": anche qui siamo messi male. Per servizi si pensa sempre alle banche che il più delle volte rappresentano la punta dell'iceberg dell'economia della rapina, ma non dei servizi. Il concetto di "servizio" è molto ampio e va ovviamente dall'assistenza all'infanzia o agli anziani fino al plus presente in molti beni materiali. Anche su questo versante siamo lontanissmi dall'obiettivo.
Non bisogna dimenticare poi che molti studi hanno dimostrato che l'accumulo di beni non coincide con la soddisfazione generale, anzi più si possiede, peggio si vive. L'economia del "ben-avere" e della crescita non genera ben-essere, ma un'insoddisfazione strisciante cui la pubblicità fa fronte comvincendo la gente a comprare sempre di più beni fondamentalmente inutili. Nel dibattito politico tutto questo è assente: manca totalmente non solo la tutela e valorizzazione dell'ambiente, ma lo stesso concetto di qualità della vita individuale e collettivo.
E' possibile creare lavoro rimodulando il sistema produttivo verso un'economia moderna (invece che tentare di fare concorrenza alla Zimbabwe) fatta di servizi e beni ad elevato contenuto di "servizio" il che vuol dire: comprendere la nuova domanda per ri-orientare l'offerta. La cultura genera posti di lavoro così come l'intero tessuto di tradizioni (materializzate in prodotti artigianali e dell'agroalimentare): la tutela dell'ambiente e il recupero del paesaggio (devastati dai decenni della crescita) offrono altrettante opportunità.
La ricchezza che può e deve essere generata non è solo economica: possiamo guadagnare meno e vivere molto meglio quando la qualità della vita viene considerata prioritaria rispetto al profitto.
Il grosso problema è che la nomenclatura, quando conosce un minimo della questione, è ancora ancorata ad un'idea di sviluppo economico degli anni '50. I politici hanno infilato i loro famigli in tutti gli ambiti della società: abbiamo una burocrazia spaventosa fatta spesso di "fedeli-incompetenti".
In queste condizioni qualcuno ancora si meraviglia che l'intero Paese stia avvizzendo come una pianta senza acqua?
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