venerdì 1 febbraio 2013

La fabbrica delle "conoscenze"

La notizia secondo la quale in Italia in questi ultimi anni si sarebbe registrato un calo molto netto nelle iscrizioni universitarie non lascia meravigliati più di tanto. Del resto: come avrebbe potuto essere altrimenti?

I motivi sono tanti e le conseguenze sono molto pesanti.

1) In un Paese dove conta più l'economia delle "conoscenze" (know who) rispetto all'economia della "conoscenza" (know how) non ha molto senso impegnare tempo, soldi e fatica in una qualsiasi attività che implica un investimento nelle proprie capacità. Questo significa impegnarsi in una crescita culturale sotto forma di studi universitari (ma anche la stessa scuola superiore), formazione professionale, corsi di perfezionamento, master, ecc... E poi anche leggere un libro non ha più molto senso. Dedicare tutti questi sforzi per migliorare la propria formazione per poi essere puntualmente scavalcati dall'ebete di turno (ben connesso ed introdotto) a lungo andare crea un'atmosfera di sfiducia assoluta nella cultura. Che senso può avere? E poi l'università costa una tombola: chi si può permettere una spesa simile che poi non garantisce alcun futuro? Semmai ci si dedica a creare relazioni con persone che contano: ciò è l'unica cosa che oggi serve realmente. Il resto sono balle. 

2) In Italia si investe pochissimo in formazione, università e ricerca: il risultato è che questo sistema, visto solo come un costo, è del tutto inefficiente e non in grado di fornire un servizio all'altezza delle necessità di una società avanzata. Siamo ridotti al lumicino: basta fare un giro in una qualsiasi università straniera (senza bisogno di andare in America) per capire questa condizione nostrana di pietà assoluta.

3) La mafia accademica, ove imperversa il sistema citato nel punto 1, ha creato in fin troppe occasioni un apparato di docenti e ricercatori che hanno fatto carriera con le conoscenze, senza merito e competenza. I migliori sono puntualmente frustrati e o accettano le regole di questo sistema (fatti da parte e lavora per altri) o mollano. Il risultato è che una selezione particolarmente avversa ha generato un'umanità melmosa che occupa tutti i posti, spreca il poco denaro che c'è in circolazione, umilia il sistema ricerca-università italiano che non brilla nelle classifiche internazionali.

La "perdita di senso" è la conseguenza più grave del degrado generale in cui versa l'università e la ricerca italiane. Inoltre questo sistema dovrebbe generare la futura classe dirigente di questo Paese: ma, viste le premesse,  quello che verrà fuori in futuro sarà una classe dirigente fatta da ignoranti, incompetenti ed impreparati. 

Bisogna salvare questi settori dal degrado, non solo investendoci più risorse, ma restituendo dignità al "sapere" anche tramite personalità capaci, creative e meritevoli.

La cultura crea persone critiche e dalla mente indipendente: l'ignoranza genera dei servi in balia dei pregiudizi, influenzabili e pronti a prostituirsi al primo millantatore di turno. Questo è quello che ci sta di fronte. 



Della serie: "al peggio non c'è limite"


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