I dati diffusi recentemente sulla marcata flessione delle vendite di automobili sono motivo di una serie di riflessioni. Innanzitutto si parla di mercato interno, dato che le problematiche dell'export, per quanto riguarda i marchi nazionali, presentano dinamiche differenti.
La prima cosa che mi viene in mente è che è follia pura equiparare l'automobile ad un qualsiasi altro bene di consumo come un lettore MP3, un cellulare o un paio di scarpe. Questo errore di prospettiva non può che generare errori sistematici a cascata: e quante altre auto possiamo ancora comprare? Ne dovremmo possedere dieci per famiglia per sostenere l'industria automobilistica? Che cosa ce ne facciamo? Siamo proprio sicuri che è questo quello che vuole la gente ovvero sempre più macchine (oltretutto fondate su un paradigma tecnologico della fine del XIX secolo - leggi motore a scoppio)?
Comunque c'è da dire che il dato di maggiore flessione riguarda il segmento medio, medio-basso: quindi significa che le classi medie oggi non sono più in grado di cambiare la macchina con una frequenza tale da soddisfare le necessità produttive dell'offerta. Quindi c'è palese sintomo di crollo dei redditi della spina dorsale della società italiana. Questo non direbbe niente di nuovo se non fosse che invece la domanda di auto di lusso e di grossa cilindrata e, propozionalmente, assai superiore all'offerta. Questo evidenzia allora una forbice notevole fra "chi può" e chi "non può". Intendo dire che a fronte di una contrazione dei redditi medio-bassi si riscontra un rafforzamento dei redditi alti (che possono anche permettersi un pieno al distributore di benzina).
Non è però solo una questione economica: si tratta anche di un sintomo di palese ingiustizia sociale. A fronte di forti diseguglianze economiche nel nostro Paese si stanno allargando sempre più le diseguaglianze sociali.
Tenendo conto che la macchina è poi uno dei maggiori vettori di inquinamento, viene anche da pensare che inquinare con l'auto stia diventando un lusso per una cerchia sempre più ristretta di privilegiati:. Il poveretto che è alla fine costretto a muoversi con i mezzi o in bici alla fine rappresenta un esempio virtuoso: "beato te che non hai una lira!".
Questo è uno dei tanti paradossi dell'ingiustizia economica e sociale dei nostri tempi.
4 commenti:
Ho sorriso, leggendo "Ne dovremmo possedere dieci...? Che cosa ce ne facciamo?". Bella domanda! Ma i produttori, se la pongono? O sperano sempre nella rottamazione (una "roba" che funziona più o meno come i condoni).
Invece sono sempre più convinta della veridicità della frase: "beato te che non hai una lira!", alla quale aggiungerei "e anche se di lire (o di euro) tu ne avessi, ti esorto a vivere come se non ne avessi, perché è ora di finirla di trasferire denaro nelle tasche di chi poi lo esporta. Limitati a pagare solo il lavoro della gente che lavora. E basta."
E' evidente che viviamo all'interno di una dittatura economica fondata sulla saldatura perversa fra finanza e politica: alla fine della fiera sono sempre i "consumatori" che con i loro consumi (anche i prodotti finanziari sono diventati beni di consumo) oliano il sistema e alimentano ricchezze spaventose di pochi Trimalcioni. Il ricatto del posto di lavoro è una delle spade di Damocle più spaventose che gravano su tutta la società.
Pensa al casino sull'art. 18...
...e se la gente si rifiutasse di andare a lavorare sotto padrone? Probabilmente aumenterebbero le tasse ai lavoratori "autonomi"...
Possibile che la perversione sia tale, che non si riesca a trovare una soluzione?
Esistono problemi che non siamo capaci di risolvere, ma nonostante questo la soluzione esiste: basta trovarla...
Insomma, lo stesso Einstein ha comunque sempre avuto dei dubbi sul fatto che l'Universo sia infinito...
Secondo te, siamo davvero impreparati per la ricerca di una soluzione (io "ringrazio" sempre la scuola, alla fine, per il tempo che ci ha fatto perdere...)
Il problema forse non è la ricerca di soluzioni, perchè magari delle soluzioni (in questo come in tanti altri casi) sono già belle e pronte. Il problema è applicarle ed avere il coraggio di applicarle. In fondo il meccanismo che è stato alla base dell'Olocausto è ancora pienamente in funzione: la banalità del male si fonda sempre su una distanza che le persone mettono fra sè e le conseguenze delle proprie scelte.
Questa dispersione delle responsabilità è alla base dell'incapacità generale di inventare e realizzare una qualsiasi forma di futuro intelligente. La politica nostrana (nel piccolo come nel grande) è espressione e massima beneficiaria di questo stato di cose. E i recenti fatti di cronaca stanno lì a dimostrare proprio questo.
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